Anche il territorio di Porchia è abitato fin dall’antichità, esistendo testimonianza della presenza di necropoli sia picene che romane ma la fondazione vera e propria risale al IV secolo, durante le invasioni barbariche; il borgo prende il nome di Porcia. Nel 1291 il Papa ascolano Niccolò IV attribuisce al castello la prima forma di autonomia, ammettendolo all'elezione del podestà, di lì a poco Porchia entra a far parte dei castelli di Ascoli la quale offre a sua volta aiuto militare al castello. Di questo status la frazione reca tuttora traccia, con la partecipazione della sua rappresentanza alla Quintana di Ascoli Piceno. Nel 1377, il più spavaldo, valoroso ma anche crudele dei signori ghibellini, Boffo da Massa realizza una piccola signoria al confine tra gli stati di Fermo e di Ascoli Piceno costituita da Carassai, Castignano, Cossignano e Porchia. Nel 1380 Antonio di Acquaviva della famiglia dei duchi di Atri, fece prigioniero Guarniero, figlio di Boffo e lo rinchiuse nel carcere di Santa Vittoria minacciando di ucciderlo se il padre non gli avesse consegnato i castelli di Porchia e Cossignano. Il 4 settembre 1387 Boffo da Massa viene ucciso a Carassai. Cossignano, il giorno dopo la morte del Tiranno, e Porchia, il giorno successivo, si confederarono con Fermo. Nel 1586 il motaltese papa Peretti, Sisto V, elevando a sede vescovile la sua città, ne ricaverà il territorio dalla diocesi ripana, scorporandone anche Porchia. Il primo vescovo di Montalto, Paolo Emilio Giovannini, è nativo del castello e i fornaciai porchiesi forniscono i mattoni per la costruzione della nuova cattedrale.Il comune di Porchia cessa di esistere nel 1861, sopraggiunta l’Unità d’Italia e accorpato definitivamente al comune di Montalto delle Marche.
Come molti comuni dell’entroterra marchigiano, Montalto vanta testimonianze relative alla presenza dell’uomo addirittura risalenti al periodo Neolitico, diversi insediamenti abitativi di epoca romana, protostorica e medievale. Nell’alto medioevo Montalto acquisisce una sua propria identità dalla fusione di cinque piccoli castelli, Monte Patrizio, La Rocca, Montaltello, San Giorgio e San Lorenzo, avvenuta intorno al IX secolo e non dipende da nessuna diocesi. Sono i monaci farfensi, insediatisi sul Matenano, che hanno giurisdizione su Montalto fino al 1300 quando diventa libero comune e nel 1320 la comunità fa redigere il primo Catasto, strumento molto utile per ricostruire la vita della popolazione all’epoca. Dopo aver subito l'occupazione di Francesco Sforza nella prima metà del quattrocento Montalto subì un terribile saccheggio nel 1518 dalle truppe di Francesco Maria Della Rovere duca di Urbino in guerra con il papa Leone X Medici. Nel 1585 fu eletto al soglio pontificio Felice Peretti, montaltese, che nel dicembre 1586 elevò Montalto a città vescovile e capoluogo di un’ampia circoscrizione amministrativa, il Presidato comprendente i comuni di Patrignone, Porchia, Montedinove, S. Vittoria, Castignano, Offida, Cossignano, Ripatransone, Rotella, Montefiore, Montegallo, Montelparo, Force. Il Presidato rimase attivo fino all'arrivo dei francesi nel 1798 quando Montalto fu capo cantone del Distretto del Dipartimento del Tronto, mentre con la Restaurazione entrò a far parte della Delegazione di Ascoli, Distretto di Montalto, come comune residenza di Governatore. Infine con l'Unità d'Italia rimase all'interno della provincia di Ascoli Piceno come capoluogo di mandamento e nel 1867 ottenne l'annessione dei Comuni di Patrignone e Porchia.
La legge del 3 agosto 1862, n.753 e il relativo regolamento attuativo contenuto nel regio decreto 27 novembre 1862 n. 1007 istituirono presso ogni comune del Regno una Congregazione di carità allo scopo di amministrare i beni destinati a beneficio dei poveri e le opere pie la cui gestione fosse stata affidata dal consiglio comunale. La legge conteneva una disciplina articolata dei vari istituti assistenziali e caritativi, religiosi e laici, che il Regno d'Italia aveva ereditato dagli Stati preunitari e designava con i termini di "opera pia" o "istituzione di assistenza e beneficenza" un ente morale che aveva come fine quello di "soccorrere le classi meno agiate, (...) di prestare loro assistenza, educarle, istruirle ed avviarle a qualche professione". La legge del 1862 non si propose la creazione di un sistema pubblico di assistenza ma preferì riconoscere le istituzioni già esistenti, principalmente di carattere ecclesiastico, e delegò loro le relative funzioni accentuando invece la visione "localistica" di questo sistema, che assegnava alle amministrazioni locali un ruolo fondamentale di controllo e di gestione. La "legge Crispi" (17 luglio 1890, n. 6972) può essere considerata la prima norma organica in materia di assistenza e beneficenza pubblica; essa ridefinì in maniera più sistematica le finalità e l'organizzazione delle Congregazioni di carità, al cui controllo furono sottoposte le istituzioni pubbliche di assistenza con una rendita inferiore a 5000 lire annue e prive di propri organi di amministrazione, e quelle esistenti nei comuni con popolazione inferiore ai 10000 abitanti. La legge prevedeva che le Congregazioni fossero amministrate da un comitato, composto da un presidente e da un numero variabile di membri ed eletto dal consiglio comunale, mentre la funzione di tesoriere era affidata all'esattore del comune. Con la "legge Crispi" le opere pie (ospedali, ospizi, orfanotrofi, monti di maritaggio, asili d'infanzia, scuole gratuite, monti frumentari, confraternite, cappelle laicali, ecc.) furono ricondotte pienamente nell'ambito del diritto pubblico, allo scopo di ridurre le irregolarità di gestione e rendere più incisivo il controllo statale. Le Congregazioni di carità furono soppresse con legge 4 giugno 1937 n. 847 per essere sostituite dagli Enti comunali di assistenza. La Congregazione di Carità di Montalto fu attiva già dal 1866 (come si può dedurre dal primo registro delle deliberazioni datato 31 ottobre 1866) ma si dota di uno statuto organico e di un regolamento in data 26 luglio 1892 in forza del decreto del Regio Commissario delle province delle Marche (24 ottobre 1860) e della legge 17 luglio 1890. Essa si compone di un Presidente e di quattro membri la cui nomina e surroga viene fatta dal Consiglio Comunale; il suo scopo è amministrare i beni destinati genericamente a favore dei poveri, compresa la loro assistenza, educazione ed istruzione. La Congregazione gestisce e dirige le seguenti Opere Pie: 1- Opera Pia Biondi (1/10/1614) doti a nubili povere di onesta condotta; 2- Opera Pia Pasqualini (8/7/1847) elemosina ai poveri il giorno di Natale di ogni anno; 3- Monte di Pietà (10/7/1613) prestiti in denaro ai poveri in cambio di pegni e al tasso del 3% all’anno; 4- Cassa di Prestanze agrarie (8/4/1886) prestiti in denaro con tasso al 3% annuo per favorire l’agricoltura; 5- Opera Pia Mancini (11/12/1863) sussidi a domicilio ai malati poveri di Patrignone; 6- Opera Pia Peretti (3/8/1629) pane ai poveri di Montalto ed erezione dell’ospedale; 7- Monti frumentari di Montalto delle Marche, Porchia e Patrignone, prestiti in grano. In base al suo regolamento interno la Congregazione si avvaleva dei seguenti impiegati: - Un segretario eletto dalla Congregazione o per concorso o per nomina; - Un tesoriere – esattore (svolgeva anche la funzione di cassiere della Cassa di Prestanze agrarie e quella di montista del Monte dei Pegni); - Tre custodi dei Monti Frumentari (Montalto, Porchia e Patrignone) eletti dalla Congregazione; - Un inserviente nominato dalla Congregazione. Nel 1895 si concentrarono nella Congregazione anche le seguenti Opere Pie: - Opera Pia Amadio (dotalizi ed elemosine), - Opera Pia Gabrielli (dotalizi ed elemosine per Patrignone), - Pio Lascito Fioroni (ospedale da erigersi a Porchia), - Lascito Graziani (soccorsi a domicilio a malati poveri), - Legato Vagnoni (ospedale da erigersi a Porchia), - Opera Pia Cherubini (sussidi e medicinali agli infermi di Montalto), - Lascito Mignucci (ospedale da erigersi a Montalto), - Opera Pia Pellei (borse di sussidio agli studi). Nello stesso anno vennero trasformate per costruire l’ospedale di Montalto l’opera pia Peretti, l’opera pia Pasqualini, l’opera pia Mancini, il dotalizio Amadio, il lascito Fioroni e i tre Monti Frumentari (ma metà del loro patrimonio andò alla Cassa delle Prestanze agrarie). La storia archivistica del materiale della Congregazione di Carità sembra avere seguito le vicende della sua costituzione dei vari concentramenti e trasformazioni: il materiale è stato suddiviso fra registri e buste proprie della Congregazione di Carità e buste di amministrazione e registri di contabilità delle varie opere pie. Questo ordinamento è stato adottato intorno al 1908-1911 a seguito di una richiesta esplicita della Giunta Provinciale Amministrativa dato il pessimo stato in cui versava l’archivio della Congregazione; l’ordine è stato ricostruito grazie al ritrovamento all’interno di un faldone di una “Rubrica degli atti d’archivio”. L’unica anomalia riscontrata fra questa rubrica e la numerazione dei pezzi riguarda il Pio Istituto Sacconi, probabilmente perché inizialmente risultava autonomo rispetto alla Congregazione in quanto dotato di rendita annua superiore a £ 5000 ma fu poi amministrato per un certo periodo dalla stessa. A seguito di una lunga controversia legale fra u due enti ritornò ad essere autonomo e , probabilmente, per questo la numerazione dei suoi pezzi riparte dal 1 a 11 diversamente da quanto riportato nella rubrica ( da 44 a 53).
Con testamento redatto in data 1 ottobre 1614 Fabio Biondi, Patriarca di Gerusalemme, destina le rendite delle sue proprietà all’istituzione di un dotalizio per le giovani nubile povere del suo paese purchè di comprovata buona condotta.
Il Pio Istituto Sacconi venne istituito con donazione testamentaria dal Cardinale Giacinto (?) Sacconi il 12 luglio del 1885, disponendo che con le rendite della somma di £ 90.000 (raggiungendo poi con le rendite del primo anno la somma di £ 100.000) si istituissero varie istituzioni benefiche, opere edilizie di abbellimento della città, eccetera. Le rendite del primo periodo dovevano essere destinate in parti uguali all’erezione dell’Ospedale e alle scuole Ginnasiali del Seminario (poi anche alle scuole fuori dal seminario). L’Istituto fu eretto in Ente morale con Regio Decreto il 16 aprile del 1886; esso non rientrava nella possibilità di essere amministrata dalla locale Congregazione di Carità perché la sua rendita annua superava le £ 5000, la Congregazione cercò comunque di inglobarla chiedendo parere alla Giunta Provinciale Amministrativa a da qui scaturì una lunga controversia fra i due enti.
La Congregazione nasce dal Ristretto di S. Francesco Saverio stabilito dal canonico Gaspare del Bufalo nel 1823 e prende il nome di Ristretto delle consorelle (o Congregazione) del Preziosissimo Sangue alla presenza e con l’approvazione dell’allora Vescovo Eleonoro Aronne di Montalto delle Marche. Gli scopi di questa istituzione erano quelli di natura spirituale come la buona educazione della gioventù, santificazione delle anime del prossimo, insinuazione del timore di Dio soprattutto nelle giovani. Durante la prima adunanza furono elette: Contessa Piera Sacconi PRESIDENTE, Contessa Marianna Paradisi ASSISTENTE, Contessa Elisa Paradisi ASSISTENTE, Contessa Adelaide Sacconi CONSULTRICE, Contessa Margherita Sacconi CONSULTRICE, Contessa Maria Prosperi CONSULTRICE, Silvia Massimauri VICE PRESIDENTE, Gabriella Paradisi SEGRETARIA, Marietta Massimauri VICE SEGRETARIA, Agnese Massimauri CASSIERA, Antonia Verdi VICE CASSIERA.
Elmo Del Bianco nasce a Urbino il 29 settembre del 1921. La famiglia, di origini operaie (il padre minatore e la madre casalinga), proviene da Montecalende, frazione urbinate. Le condizioni economiche non consentono al futuro dirigente sindacale di proseguire gli studi, per cui egli frequenta la scuola elementare e «tre corsi di scuola di arte-mestieri» come precisa in una sua memoria scritta degli anni Cinquanta. Dal 1940 al 1942 è operaio presso la ditta Benelli e proprio nel 1942 inizia ad occuparsi di politica. Nel 1943 s’iscrive al Pci (partito a cui aderisce per lo più tutta la numerosa famiglia dopo una precedente formazione socialista) nella sezione di Montecalende. Partecipa alla guerra di Liberazione come partigiano, con grado di sottotenente, nella Brigata GAP di Schieti (frazione di Urbino) guidata da Angelo Arcangeli. All’interno del Pci i suoi primi incarichi lo vedono prima segretario di cellula, poi, nel 1948, segretario della sezione di Montecalende. Egli giunge alla Cgil nell’autunno del 1948 in qualità di segretario della Camera del Lavoro di Pergola (e vi rimane fino al 1951 dopo essere succeduto a Enzo Andreoli e Lottaldo Giuliani) in una congiuntura già segnata dalla rottura del fronte sindacale unitario, nonché dalla repressione governativa dei movimenti popolari particolarmente evidente nelle campagne dove le lotte mezzadrili erano state energiche ed avevano lasciato strascichi e ferite ancora aperte nelle aree di Macerata Feltria e Cagli. Lo stesso Del Bianco è condannato ad oltre dieci giorni di prigione per lotte legate al lavoro. L’esperienza pergolese si dispiega in una realtà territoriale e sociale caratterizzata sia dai problemi tipici delle zone rurali sia da quelli propri di un insediamento minerario che è interessato da un processo di drastico ridimensionamento con innegabili ripercussioni negative sul fronte della tenuta occupazionale. È il caso della miniera di zolfo di Cabernardi che in vista della dichiarazione di licenziamento di ben 860 lavoratori (decretata dall’azienda Montecatini) porterà all’occupazione dei pozzi della miniera nel maggio-luglio del 1952. Del Bianco, che già nel maggio del 1951 è segretario del sindacato provinciale degli edili e segretario dei minatori di Perticara e Formignano di Romagna, ha ricordato più volte le lotte di Cabernardi che portarono duecento minatori – i cosiddetti ‘sepolti vivi’ – ad occupare la miniera e calarsi nelle viscere della terra fino a 400 metri per quaranta giorni. In particolare, egli ha rievocato quanto le lotte guidate dal sindacato abbiano almeno permesso di dilazionare nel tempo il processo di smantellamento (riducendone gli effetti sul lato occupazionale) degli insediamenti industriali – in regime di monopolio sul versante minerario – della Montecatini nel più ampio territorio pesarese ed in parte anche anconetano. In quegli anni, sul fronte politico-istituzionale, Del Bianco entra nel Consiglio comunale di Pesaro, risultando successivamente rieletto nelle liste del Partito comunista, rimanendovi costantemente dal 1952 al 1964. Sul fronte sindacale, nel 1956 Del Bianco entra nella segreteria della Camera del Lavoro provinciale e vi rimane ininterrottamente fino al 1963. In questa congiuntura si dispiega un ciclo di lotte importanti che vedono il sindacato in prima fila nelle rivendicazioni di diverso tipo (tra esse quelle per il diritto alla pensione a favore di mezzadri, commercianti e artigiani. Si pone, inoltre, con forza la questione dello sviluppo agricolo e industriale delle vallate del Foglia e del Metauro, territori che sulla scorta di precedenti manifestazioni di ampio respiro e unitarie nel 1953 erano stati caratterizzati da – come ricorda più volte Del Bianco – «due marce della rinascita e dello sviluppo […], dove migliaia e migliaia di lavoratori in sella alla bicicletta percorsero [decine di chilometri] da Belforte all’Isauro a Pesaro e da Cantiano a Fano [a volte] in due, con la moglie o con un compagno. Manifestazioni tutte precedute da […] assemblee e comizi lungo il percorso». In questa direzione, a distanza di circa un decennio, inizia ad affermarsi una trasformazione produttiva del territorio che vede nella diffusione della piccola impresa, in particolare quella mobiliera, uno degli elementi che diventeranno sempre più specifici dell’economia locale. Su questo fronte, la capacità di adattarsi ai mutamenti in atto porta la Cgil a ripensare la sua strategia d’azione in cui le rivendicazioni salariali vengono ad iscriversi in una cornice più ampia correlandosi con la rappresentatività e l’agibilità sindacale in azienda conquistata sul campo. Emblematico, in tal senso, è il fatto legato ad un accordo separato tra la Cisl e gli industriali nel 1960 (con il beneplacito dell’Ufficio provinciale del lavoro) contro cui la Cgil chiama (e supporta) i lavoratori in una lunga vertenza, vincente, che si snoda in 33 giorni di sciopero (e tocca anche aziende guidate da imprenditori ed ex amministratori iscritti al Pci come Renato Fastiggi) in cui si chiedeva, tra l’altro, un aumento di paga doppio rispetto a quello concordato con la Cisl. Gli impegni sindacali lasciano posto momentaneamente a quelli più strettamente politici, sia sul versante della rappresentanza istituzionale (come già detto), sia in ambito partitico. Così, Del Bianco è segretario della Federazione comunista pesarese fino al 1967, lo stesso anno, inoltre, viene nominato segretario della Camera del Lavoro provinciale, succedendo al comunista Aldo Bianchi, incarico che ricopre fino al 1970. In questi anni egli ritrova una Cgil trasformata in seguito ai mutamenti già in atto in ambito produttivo con il tramonto dell’antico radicamento mezzadrile (e le correlative battaglie) e i processi ormai dispiegati di inurbamento delle coste a discapito dello spopolamento delle campagne dell’entroterra. Sono anni in cui l’‘autunno caldo’ ha i suoi effetti anche nel territorio pesarese, tanto che proprio nel 1969 – anno in cui si tiene il VII congresso nazionale della Cgil a cui Del Bianco partecipa in qualità di delegato provinciale – si apre un’ostica vertenza con la Montedison per impedire tagli occupazionali (che anche in questo caso di fatto verranno rinviati agli anni successivi fino alla chiusura, nella prima metà degli anni Ottanta, delle Costruzioni Meccaniche Pesaresi, la nuova denominazione della Montecatini-Montedison collocata alle porte della città di Pesaro). Ad ogni modo, proprio sul finire degli anni Sessanta la Cgil è impegnata nell’opera di denuncia dell’evasione contributiva delle imprese e si batte sul fronte del mancato riconoscimento delle qualifiche dei lavoratori; allo stesso tempo nelle manifestazioni si affaccia anche il protagonismo studentesco accanto a quello operaio. La guida di Del Bianco nel triennio della sua segreteria è improntata sulla continuità e si caratterizza per la capacità di tenere insieme tutte le principali correnti interne al sindacato (non a caso lo affiancano Enrico Biettini del Psiup, Umberto Polidori del Psi e i comunisti Giuseppe Monaldi e Olindo Venturi: tutti componenti già presenti anche nella segreteria di Aldo Bianchi nel 1965) e il perseguimento dei principali obiettivi programmati. La fine dell’esperienza sindacale corrisponde all’assunzione d’incarichi elettivi in regione. È infatti consigliere regionale del Pci per due consigliature, dunque fino al 1980. In questa veste si segnala come membro della Commissione regionale Sanità e Vicepresidente della Consulta regionale dell’emigrazione (dal 1974 al 1980). Su questo versante, si segnala come relatore alla Conferenza regionale dell’emigrazione tenutasi a Urbino nel novembre 1974. Egli ha inoltre presentato, insieme all’avvocato Sergio Marcheggiani, una proposta di legge regionale sull’emigrazione. Dopo l’esperienza politico-amministrativa regionale, Del Bianco si occupa di sanità e trasporti. In particolare, dal 1980 al 1986 è vicepresidente dell’Unità sanitaria di Pesaro e dal 1987 al 1988 è Presidente dell’Azienza trasporti e igiene del capoluogo di provincia. Da un punto di vista politico, dopo lo scioglimento del Pci, aderisce prima al Pds, poi ai Ds ed in infine al Partito democratico. Tra le sue pubblicazioni, per lo più di carattere memorialistico, si segnalano: Documenti e testimonianze sulle lotte nella Provincia di Pesaro e Urbino (1999); Brevi appunti. La vita delle popolazioni nelle borgate e nelle campagne dell’urbinate e dopo la fine della seconda guerra mondiale (2009). Alcuni estratti di queste pubblicazioni sono stati ripresi nel numero speciale dei quaderni del Consiglio regionale delle Marche, pubblicato postumo, intitolato L’insieme dei ricordi (2016). Del Bianco muore a Pesaro il 22 gennaio 2016.
Bruno Venturini nasce il 28 settembre 1909 a Fano da Pietro e Maria Lombardi.
Dopo aver frequentato una scuola professionale e lavorato come garzone presso un barbiere si iscrive al liceo classico, che però deve interrompere per svolgere il servizio militare. Al suo ritorno a Fano preferisce presentarsi agli esami di maturità scientifica. In seguito si iscrive a Medicina e chirurgia veterinaria presso l’Università di Bologna. Dal 1932 svolge attività antifascista con un gruppo di militanti comunisti; a Pesaro e a Fano infatti si erano costituiti, rispettivamente, un comitato provinciale con compiti organizzativi e un centro stampa e propaganda. Venturini, insieme ad altri, scrive i testi di alcuni manifestini. Il 31 gennaio 1933, poco prima della stampa del giornale clandestino “La Scintilla”, per cui aveva già redatto l’editoriale, è arrestato a Bologna e tradotto nel carcere giudiziario di Pesaro. Processato dal Tribunale speciale insieme a gran parte degli appartenenti all’organizzazione fanese e pesarese, è condannato a dieci anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. È tradotto nel carcere di Civitavecchia, dove rimane fino al I febbraio 1938, quando beneficia di un condono di pena. Uscito dal carcere, nel 1939 si laurea in Medicina e chirurgia veterinaria; abilitato all’esercizio della professione, nel febbraio del 1940 si vede però respinta la domanda d’iscrizione. Si iscrive quindi Corso di laurea in Chimica presso l’Università di Camerino ottenendo la seconda laurea nel novembre 1942. Dal febbraio 1943, dopo essere entrato in contatto con il comunista milanese Giovanni Ferro per il tramite di Ugo La Malfa, si trasferisce a Milano dove è attivo nella riorganizzazione del Partito. Il Centro interno lo incarica di prendere contatto con esponenti di altri partiti in vista della costituzione dei Comitati antifascisti nazionali, Celeste Negarville gli affida il compito di trovare dei compagni per la costituzione del Fronte della gioventù e del Gruppo di difesa della donna. La Federazione milanese lo incarica di tenere i contatti con il Centro interno del Partito. È tra gli organizzatori degli scioperi di Milano del marzo 1943. Dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943) entra nell’illegalità riassumendo il nome di Gianni Bianchini, già utilizzato nei rapporti con alcuni compagni. Dopo l’armistizio (8 settembre 1943) si adopera per avviare in montagna i militari sbandati, i ricercati e i giovani renitenti. Il 25 settembre 1943, presso il Comune di Milano, sposa Libera Callegari, con la quale ha una figlia, Anna, nata a Bergamo il 29 luglio 1944. Dopo l’arresto della moglie, della suocera e della cognata Pasqualina (Lina), avvenuto il 30 dicembre 1943, per favoreggiamento di partigiani, il Partito lo invia a Roma per una misura cautelativa. Raggiunge la capitale munito di un certificato falso del Comune di Milano, secondo cui si chiama Carlo Federici, e si mette a disposizione di una delle otto zone (la settima) in cui il Partito aveva diviso Roma, dando il proprio contributo di azione e direzione politica e militare. Il 2 febbraio 1944 riparte per Milano, da dove poi raggiunge il Veneto dove ricopre il ruolo di commissario, con compiti di collegamento, della Brigata Mazzini della Divisione Nannetti, di ispettore, con compiti organizzativi, di tutte le formazioni dipendenti della Delegazione triveneta delle Brigate Garibaldi e di vicecomandante del Comando regionale veneto del Corpo volontari della libertà (CVL). Il 25 novembre è a Milano presso il Comando generale delle Brigate Garibaldi; durante il viaggio di ritorno, il 29 novembre, è riconosciuto a Brescia (mentre attende un mezzo di fortuna) dal suo ex insegnante di ginnastica, divenuto tenente della Guardia nazionale repubblicana. Nel tentativo di evitare la tortura e la fucilazione, tenta la fuga ma viene ucciso da due colpi di pistola.