Nasce a Bologna il 17 dicembre 1928. È figlio di un impiegato di origine piemontese, Carlo Mombello, e di un’operaia, Olga Cevenini. Gran parte dell’infanzia la trascorre a Torino. Si trasferisce a Bologna nel 1940 soltanto con la madre, dove termina le scuole di avviamento professionale, «perché allora le scuole medie erano riservate a quelli che avevano più soldi». Nella città emiliana conosce la durezza della guerra, ma anche la prima esperienza lavorativa. All’età di tredici anni e mezzo, grazie alle conoscenze di uno zio con uno dei proprietari, viene assunto da uno dei più importanti distributori librari, Messaggerie italiane. In un’intervista descrive questo momento «una fortuna, perché questo coincideva con il mio amore per i libri; già da bambino, non appena avevo due soldi, mi compravo un libro». Il richiamo al fronte colpisce allora molti commessi, tra cui il gestore di una libreria in Piazza della Mercanzia, proprio sotto le due torri: Mombello viene chiamato a sostituirlo. Gli anni in libreria rappresentano un momento decisivo della sua formazione culturale perché gli permettono, non solo di divorare libri, ma anche di confrontarsi con il pubblico attorno alle sue letture. Dopo la guerra un impresario di Rimini gli offre la direzione di un’altra libreria che intende aprire. Così nel 1948 diventa il più giovane direttore di un negozio di libri a Bologna. Ma il nuovo lavoro coincide con l’impegno politico. Nel 1946 Giacomo Mombello si è infatti iscritto alla Federazione giovanile socialista e ha aderito al Sindacato del commercio. La sua partecipazione agli scioperi e alle mobilitazioni dei lavoratori gli costano il licenziamento. Il partito interviene tuttavia, proponendogli l’attività politica a tempo pieno: diventa così prima segretario provinciale, poi regionale della Federazione giovanile. Nel 1949 viene arrestato per la prima volta, durante una manifestazione contro l’adesione al Patto Atlantico.
L’esperienza nella Gioventù Socialista è costellata da molti momenti significativi. Poco più che ventenne partecipa a una delegazione a Baku, in Unione Sovietica, insieme a Italo Calvino. Due anni dopo è invece mandato come rappresentante al festival della Gioventù di Budapest. Nel 1952 si sposa con Roberta Dall'Olio, nata a Ozzano Emilia il 24 maggio 1931. Terminata l’esperienza nella Federazione giovanile, Mombello entra nella Federazione socialista, divenendo responsabile del settore del lavoro di massa. Deve tenere i rapporti con i sindacati, le cooperative e le associazioni di categoria. Sarebbe stato l’apprendistato per il suo futuro impegno da sindacalista, dove acquisisce una coscienza del collettivo.
Nel 1956, sulla base delle ripartizioni di cariche concordate con il Partito comunista, il Partito socialista gli offre la nomina, come componente socialista, alla vice-segreteria della Cgil nazionale oppure la guida della Camera del lavoro di Pesaro o Perugia. Mombello sceglie Pesaro. Subentra così a Giuseppe Angelini, in una realtà dove il Pci è molto forte. Per la prima volta, dal 1946, un non comunista si trova a dirigere la Camera del lavoro. Ma anche per Mombello l’impegno è un’assoluta novità: mai aveva avuto fino ad allora un incarico diretto all’interno del sindacato. La direzione nazionale voleva infatti rivitalizzare il sindacato con l’immissione di forze nuove, in una fase in cui la Cgil sta subendo importanti sconfitte, tra cui la drammatica perdita della maggioranza alla commissione interna della Fiat. Anche in provincia la situazione è sfavorevole: appena insediatosi a Pesaro, Mombello si trova a dover affrontare la perdita della maggioranza da parte della Cgil alla Commissione interna della Fonderia Montecatini: era «la fabbrica più importante, la bandiera più forte che avevamo», avrebbe ricordato Mombello. Al V Congresso provinciale della Cgil, tenutosi il 19 e 20 marzo del 1960, propone una ridefinizione del ruolo e della politica del sindacato nelle compagne: scorge l’inesorabile superamento dell’orizzonte mezzadrile e l’affermazione della piccola proprietà contadina e di un modello cooperativistico. Rivendica inoltre un sindacato attivo e non spettatore del finanziamento da parte dello Stato agli enti territoriali, chiedendo l’elaborazione di piani di intervento pubblico. Infine individua nella lotta aziendale lo strumento fondamentale per intervenire sulle distorsioni delle strutture economico-sociali.
All’impegno sindacale Mombello accosta quello nel partito dove diventa un importante dirigente provinciale. Nel 1959 entra per la prima volta nel consiglio comunale di Pesaro, in sostituzione di Costantino Manchisi. Sarebbe stato confermato ininterrottamente per diverse legislature fino al 1975. Dal novembre del 1960 entra anche in Consiglio provinciale. All’interno del partito aderisce alla corrente di sinistra, in opposizione alla linea autonomista di Nenni. Nel gennaio 1964, dopo la scissione del partito che segue il suo ingresso nei governi di centro-sinistra assieme alla Democrazia cristiana, esce dal Psi per aderire al neonato Psiup: fino al suo scioglimento nel 1972 avrebbe ricoperto le cariche di segretario provinciale e regionale e sarebbe stato un membro della direzione nazionale.
Nel 1965 lascia la segreteria provinciale dopo nove anni, una dei mandati più lunghi nella storia della Cgil pesarese del dopoguerra. Nel 1968, in occasione della IV Mostra internazionale del Nuovo cinema di Pesaro partecipa a una iniziativa in solidarietà con gli operai e gli studenti francesi contro De Gaulle. Il comizio si colloca nel clima di contestazione da parte del movimento studentesco nei confronti dei cineasti e dell’industria del cinema del Sessantotto, che aveva avuto a Cannes il suo momento d’inizio. Ma verso la fine del comizio un gruppo di giovani di estrema destra interviene con alcune provocazioni, la polizia carica i dimostranti, tra cui alcuni registi. Mombello viene fermato insieme a Valentino Orsini. Sarebbe stato rilasciato poco dopo, ma l’ingiusto arresto avrebbe surriscaldato la piazza: gli scontri sarebbero andati avanti tutta la notte.
Nel 1970 Mombello viene eletto nel primo Consiglio regionale delle Marche, venendo nominato capogruppo del Psiup: lo sarebbe rimasto fino al primo marzo 1972 quando il partito confluisce nel Pci. L’ampia stima di cui Mombello gode è confermata dallo stesso Partito comunista, che lo nomina a sua volta capogruppo. Nei quindici anni in cui svolge il suo mandato di consigliere regionale avrebbe ricoperto molteplici incarichi. È tra i membri della Commissione consiliare per lo Statuto regionale e per il regolamento del Consiglio, contribuendo alla stesura della norma statutaria. È inoltre vice-presidente della commissione Affari istituzionali dal 25 settembre 1975 al 5 ottobre 1978. In seguito viene chiamato a presiedere la Commissione permanente sull’istruzione, incarico che ricopre fino al 1980. In questa veste ottiene il varo di due leggi importanti: la legge regionale sulla formazione professionale che la delegava alle unioni dei comuni e la legge per i contributi sul diritto allo studio. Termina il suo impegno in Regione nel 1985, dopo tre mandati consecutivi. Tra 1985 e 1990 ritorna nel Consiglio comunale di Pesaro, sempre nelle file del Pci. Attualmente è presidente onorario dell’Associazione degli ex consiglieri delle Marche.
Nato a Belforte all'Isauro, socialista, entra nella segreteria provinciale Cgil nel 1980.
Rodolfo Costantini nasce a Fossombrone in una famiglia contadina. Frequenta le scuole magistrali a Urbino, dove avviene il suo primo avvicinamento alla politica, con la partecipazione al movimento studentesco urbinate. Terminate le superiori, si iscrive alla facoltà di Pedagogia dell’Università di Urbino, dove partecipa al clima di mobilitazione degli anni Settanta. Si laurea nel 1973. Nel frattempo, all’inizio degli anni Settanta aderisce al Pci. Durante l’Università collabora con la Camera del lavoro di Fossombrone, la città in cui abita. Entra come funzionario nella Cgil il primo gennaio 1975. A proporgli di entrare in Cgil è Olindo Venturi, allora segretario provinciale, che «stava svolgendo un compito di grande rinnovamento con relativo ingresso di nuovi quadri», ricorda lo stesso Rodolfo Costantini in un’intervista. «Era il periodo in cui la Cgil passava da un’organizzazione che coordinava il mondo contadino, la mezzadria e il bracciantato […] a una organizzazione caratterizzata da un forte ingresso di operai». Il ricambio sarebbe stato un percorso lungo, portato a compimento negli anni Ottanta, a cui lo stesso Costantini avrebbe dato un impulso decisivo, una volta divenuto a sua volta segretario provinciale. Sono anche gli anni del terrorismo, che, ricorda lo stesso Costantini è ben presente nel dibattito sindacale.
Inizialmente diventa segretario della Camera del Lavoro di Fossombrone, esperienza che segnerà la sua formazione sindacale basata su una forte caratterizzazione confederale.
Dal 1978 al 1981 è segretario regionale del sindacato di tessili e calzaturieri, in anni in cui il settore conosce una complessa fase di ristrutturazione: molti operai – soprattutto donne – perdono il posto di lavoro e all’azienda strutturata si sostituiscono dei laboratori, che presentavano minori tutele. Costantini si trova a gestire le situazioni difficili che si vivono alla Cia di Fossombrone, alla Baby Brummel di Montemarciano, alla Lebole di Matelica, alla Orland di Filottrano. Al tempo stesso assiste a un decentramento produttivo, di cui è emblematico il distretto del jeans di Urbania. Alle grandi aziende subentra una struttura molecolare a bassa sindacalizzazione, che costringono il sindacato a una riorganizzazione delle tutele dei lavoratori.
Nel 1981 Rodolfo Costantini viene nominato segretario provinciale della Cgil di Pesaro. La sua elezione si colloca nello scontro intestino che attraversava la Cgil, tra la parte più istituzionale legata al partito e una più vicina alle spinte che venivano dalla contestazione. Essendo estraneo alla realtà di Pesaro viene vista come una figura di mediazione. All’epoca molto giovane, aveva appena 31 anni, accelera il rinnovamento del sindacato facendo entrare in posizioni apicali giovani sindacalisti provenienti sia dalla fabbrica che dall’università. Sono anni in cui non solo si assiste a un importante rinnovamento generazionale, ma aumentano gli iscritti al sindacato. Inoltre viene attuata una importante riforma organizzativa con il superamento del livello provinciale attraverso il decentramento nei comprensori ed il rafforzamento del livello regionale. Particolarmente vivo durante la segreteria di Costantini è inoltre il dibattito sindacale sulla riforma del salario e delle pensioni. Ma proprio in questa fase di trasformazione le relazioni tra sindacati si deteriorano. Profondamente convinto del valore dell’unità sindacale, Rodolfo Costantini si adopera per impedire la lacerazione dei rapporti tra le confederazioni sindacali nel periodo dell’aspro scontro a sinistra sul “taglio della contingenza”. Pesaro è la sola provincia a livello nazionale, in grado di realizzare una grande manifestazione unitaria tra Cgil, Cisl e Uil in piazza del Popolo contro i famosi decreti sulla scala mobile.
Nel 1985 è nominato segretario organizzativo regionale della Cgil. Esce dal sindacato l’anno dopo, motivandolo sostanzialmente per due motivi: non riteneva che l’impegno sindacale (o politico) a tempo pieno dovesse diventare un 'mestiere a vita' e vedeva nell’organizzazione il mantenimento di una staticità nelle politiche contrattuali rispetto a processi economici in rapida evoluzione.
Entra dunque nella Lega delle Cooperative impegnandosi nel settore della cooperazione di abitanti.
Nasce il 21 marzo 1945 a Montecerignone in una famiglia di origini contadine. Entra come funzionario della Cgil il 30 gennaio 1968, prima come responsabile della Federmezzadri per le zone di Pesaro e Fano, poi Segretario della Filtea provinciale, nel 1975 è Segretario della Camera del lavoro di Fano e nel 1980 membro della segreteria della Camera del Lavoro provinciale.
Segretario nazionale Federazione braccianti.
Luigi Agostini nasce a San Sisto, frazione di Piandimeleto, il 21 novembre 1940. La famiglia è di estrazione contadina; i genitori sono piccoli coltivatori diretti, possiedono e lavorano un podere nell’Alto Montefeltro, «terra dalla luce unica». Come ricorda lo stesso Agostini in una sua testimonianza, essi erano «per storia e ‘istinto’ […] forse gli unici coltivatori diretti comunisti della zona», considerando la marcata egemonia delle organizzazioni cattoliche della Bonomiana, «che faceva leva proprio sulla questione della proprietà per instillare nei piccoli proprietari un’avversione viscerale contro le idee comuniste». Agostini aderisce al Pci nel 1958 in un frangente come quello a ridosso degli anni Sessanta, in cui la presenza e il radicamento comunista ne facevano «una forza organizzata, ed un modello di organizzazione, senza pari, ineguagliabile: il Pci aveva sui quarantamila iscritti, la Fgci sui cinquemila iscritti, sui trecentomila abitanti della provincia». Egli cresce in una realtà familiare connotata da un interesse totale per la politica. Come ricorda il futuro dirigente sindacale: «nella mia famiglia si parlava sempre e soprattutto di politica; anche la piccola comunità della frazione in cui abitavo parlava quasi sempre di politica; ancora ricordo le discussioni, dopo aver sentito Radio Praga, fra questi uomini distrutti dalla fatica della giornata, sulle vicende di Coppi e Bartali al giro di Francia, e insieme sulla bontà o meno della decisione di Mao di ordinare a Lin Piao di attraversare lo Yangtze per dare l’ultima spallata al regime di Chiang Kai-shek». Una prima svolta nel percorso di vita di Agostini è determinata dalla scelta di continuare gli studi per l’insistenza del maestro elementare con i famigliari. Era un ragazzo che leggeva tutto ed imparava, sosteneva il maestro. Fu il nonno ad avere l’ultima parola – ricorda il futuro sindacalista – la famiglia avrebbe potuto fare il sacrificio di farlo studiare (privandosi del lavoro di un giovane nei campi), solo «alla condizione che io studiassi per poter meglio difendere le loro idee». Successivamente, frequenta il collegio a Sassocorvaro e il Liceo classico Mamiani a Pesaro dove era l’unico nelle sue classi a dichiararsi apertamente comunista e dove apprende che la politica deve basarsi sulla cultura «per non ridursi a semplice maneggio, intrigo, scalata personale, [o] a risultare ininfluente». Al Liceo trova nel professore di Storia e Filosofia, Aldo Giunchi, un formatore eccezionale. Nel 1967 si laurea in Scienze Politiche, con una tesi intitolata Il ruolo del consumo nelle economie pianificate, presso l’Università La Sapienza di Roma. Nello stesso anno entra nella Camera del Lavoro di Pesaro, voluto da Elmo del Bianco, con l’incarico di organizzare, non senza qualche benevola diffidenza, l’Ufficio Studi e già nello stesso anno è incaricato di riorganizzare come segretario provinciale la Fiom, ruolo che ricopre fino al 1972, mentre dal 1970 al 1974 è membro della segreteria della Camera del Lavoro provinciale. Sul versante del Partito, invece, Agostini entra nel Comitato federale della Federazione comunista nel 1968. Di Elmo Del Bianco ricorda un insegnamento indimenticabile: «ricorda sempre, Gigi, che quando tra un operaio ed un intellettuale scocca la scintilla, quella è dinamite». La connotazione politico-culturale della Cgil, come del Partito, in parte ancorata alla congiuntura post-resistenziale e all’insediamento prevalentemente rurale, era nettamente al di sotto di ciò che sarebbe stato necessario sul versante della contrattazione industriale, da cui seguiva che le rivendicazioni di categoria, in quanto soggetto su cui far leva per strappare conquiste e diritti, pur nel quadro di un’azione sindacale di ampio respiro e con un afflato generale, erano scarsamente valorizzate. Agostini ricorda ancora che la quasi unica manifestazione provinciale che si faceva, ma ritualmente, era quella della Federmezzadri. In tal senso, il passaggio da provincia prevalentemente agricola, a provincia con una base fortemente industriale, non era stato colto in tutte le sue implicazioni né dal Partito né dalla Cgil. Come ricorda Agostini: «la contraddizione hegeliana, per dirla in termini solenni, o se vogliamo di classe, può essere emblematizzata dal fatto che due personaggi di grande spicco del Partito, di spicco per la loro storia e per la loro forza, Pierangeli e Fastiggi, erano allo stesso tempo, i due principali padroni della provincia e nello stesso tempo l’uno presidente della Provincia e l’altro Sindaco del Comune di Pesaro!». A questo proposito, egli ricorda che all’organizzazione sindacale di fatto «mancavano le articolazioni forti delle categorie, tranne la Federmezzadri e la Federbraccianti, che comunque erano più un mondo che una categoria». Alla fine degli anni Sessanta la provincia si era trasformata in un territorio con una rilevante presenza industriale, che sovente assumerà la forma del distretto industriale, e la correlativa formazione di una nuova classe operaia mobile e diffusa. Si potevano contare oltre ventimila nuovi operai su una popolazione della provincia di circa trecentomila abitanti. Nel solo settore del legno, come registrava Agostini in un suo intervento all’VIII congresso provinciale della Fillea (agosto 1973), si era passati da 1.600 addetti nel 1951 ad oltre 10.000 nei primi anni Settanta. Si poneva, dunque, una ‘nuova questione operaia e sindacale’ con problematiche legate a «fuori busta imperanti […]; orari di lavoro senza controllo; inquadramenti professionali concentrati sistematicamente agli ultimi livelli; massiccia evasione contributiva». Si trattava di operare «una vera e propria ‘bonifica’ sindacale che non poteva che andare allo scontro con la situazione sindacale e politica in atto». Si era attuata una trasformazione scarsamente guidata dai governi locali (prevalentemente di sinistra): le zone industriali e artigianali messe a disposizione dai tanti comuni e guidata ancor meno dallo stesso sindacato in cui l’avvento dell’‘autunno caldo’, nel 1969, provocò un’accelerazione anche al suo interno, dove, come ricorda Agostini, «la costruzione della Fiom fu un grande fatto innovativo […] per le forme di democrazia adottate, per la partecipazione che riuscì ad innescare, per la mobilitazione sociale che stimolò, per i contenuti di linea rivendicativa, per le forme di lotta, per l’affermazione di nuovi quadri e delegati». La Fiom, pertanto, in quel frangente si fece portavoce di una nuova classe operaia ‘contagiando’ anche altre presenze operaie. In tutti i settori. Di particolare rilievo, in questi termini, sono le dinamiche rivendicative e le forme di lotta all’interno delle nuove fabbriche per la produzione di macchine per il legno (Morbidelli, IDM, Viet, Valeri, ecc.): i delegati di queste ultime divennero una sorta di avanguardie esportando le lotte in altri ambiti, impegnandosi in assemblee nel mondo della scuola. Come ricorda Agostini: «tutti i sabati mattina eravamo impegnati con il Movimento studentesco in assemblee nelle scuole di Pesaro, persino nel santuario della borghesia pesarese, il liceo classico, a parlare di lavoro, di sfruttamento, di diritti, ‘rubando’ i suoi figli e cercando di portarli dalla nostra parte». La crescita di peso della Fiom si lega poi alla nascita anche nel pesarese della Federazione dei lavoratori metalmeccanici (Flm), un’esperienza sindacale unitaria che aveva il suo baricentro nell’affermazione e valorizzazione più ampia del sindacato dei Consigli (i quali avevano preso il posto delle vecchie commissioni) e che avrebbe dovuto trovare, secondo Agostini, nella programmazione del territorio (ad esempio attraverso Consigli di Zona e Comuni) la sua sponda sindacale e istituzionale. Tale esperienza, tuttavia, è ostacolata sia all’interno della Cgil sia del Pci e porta, dopo uno scontro feroce, sia dentro il PCI che dentro la Cgil, a quello che lo stesso Agostini chiamò il suo «esilio politico» alla Fiom di Treviso. Ciò coinvolse a cascata tutte le nuove realtà di delegati e quadri cresciuti nell’‘Autunno indimenticabile’. Infatti, all’interno della Cgil pesarese si era giunti ad una sorta di divisione netta, ad una frattura verticale, tra un’ala sindacale più a sinistra, movimentista e critica del Partito – come dice Agostini: «il Partito risentiva dall’essersi troppo adagiato nella resistenza e nella realtà contadina, antecedente alla grande trasformazione industriale della provincia come d’altra parte il grosso dei dirigenti della Camera del Lavoro, per la quasi simbiosi tra partito e sindacato» – e attenta a valorizzare il nuovo Sindacato dei Consigli, e una più moderata e tradizionale che diffidava del cambiamento indotto dal nuovo ruolo dei consigli di fabbrica, delle forme di mobilitazione sociale e dell’impatto che tale spinta sociale poteva creare negli equilibri politici consolidati nella provincia. Lo scontro interno ha un suo esito con lo spostamento di Agostini, su richiesta della Cgil nazionale e in accordo con la Fiom nazionale, alla segreteria della Fiom di Treviso. Ne segue che dalla fine del 1974 al 1976 Agostini è segretario della Fiom-Cgil di Treviso e per i successivi tre anni segretario della Fiom-Cgil del Veneto e del settore elettrodomestico, che ha nella vicenda Zanussi il suo epicentro. Poi per tre anni è segretario della Fiom nazionale, responsabile della siderurgia. Qui, «la ristrutturazione della grande macchina siderurgica, di cui Bagnoli ne diventa il simbolo, rappresenta la palestra formativa, dopo la Zanussi», del suo percorso di dirigente sindacale. Successivamente, per altri tre anni è segretario della Cgil Veneto fino al 1985 anno in cui accede alla segreteria nazionale in qualità di responsabile dell’Organizzazione della Cgil. Si tratta di un frangente in cui si giunge al collasso dell’URSS e allo scioglimento del PCI. Eventi che segnano profondamente Agostini insieme ad alcuni avvicendamenti in seno alla dirigenza sindacale. Infatti, come ha ricordato recentemente: «uno dei periodi più tristi della mia vita sono stati gli anni [1988] della destituzione di Pizzinato. Nelle guerre intestine ognuno dà il peggio di sé, come avevo sperimentato a Pesaro. Le conseguenze anche personali possono essere amare: la vicenda della destituzione di Pizzinato in combinata con lo scioglimento del Pci a cui sono stato fermamente contrario, mi sono costati due anni e più senza incarico nella CGIL nazionale». In precedenza, la parentesi veneta, soprattutto i primi anni, lo aveva visto a capo di una Fiom in contrasto con l’Autonomia operaia guidata da Antonio Negri in un contesto in cui, tuttavia, la questione strategica restava quella di «rompere con l’interclassismo dominante» tipico di un territorio egemonizzato dalla Dc e dalla cultura cattolico/clericale. L’obiettivo politico di fondo in quella fase, come ricorda Agostini, «stava nel costruire il passaggio da un sentimento anti-padronale molto diffuso ad una concezione più compiutamente anticapitalistica». Pertanto, si doveva «espandere la presenza della Cgil, dopo l’affievolirsi se non lo spegnersi degli effetti espansivi, prodotti dalle vicende esemplari delle grandi lotte che avevano segnato la fase immediatamente precedente la vita della Regione (Marghera, Zoppas, Marzotto ecc.)». Ciò porta Agostini a dedicare una particolare cura agli aspetti e agli strumenti culturali, formativi e organizzativi. Aspetti ritenuti sempre dirimenti per una strategia politica che voglia consolidare, conquistare ed espandere le basi sociali del proprio insediamento. Non a caso le parole che gli rivolse Luciano Lama furono: «in Veneto c’è bisogno di dirigenti come te, di dirigenti di frontiera». Dalla seconda metà degli anni Ottanta fino al 2000 Agostini è attivo, pur tra grandi contrasti, nella segreteria e nel vertice della Cgil nazionale (prima in qualità di responsabile dell’industria, poi della funzione pubblica e infine responsabile delle politiche di cittadinanza con particolare riguardo alle politiche del consumo). Dallo stesso anno è stato responsabile del Centro Studi di Politica Economica (Centro studi che faceva riferimento ai Democratici di Sinistra) e dal 2010 è vicepresidente nazionale di Federconsumatori. È inoltre autore di numerosi articoli e saggi In particolare si segnalano la sua rubrica "Note critiche di Luigi Agostini" in Ticonzero e i suoi interventi ne "Il diario del lavoro", quotidiano on-line del lavoro e delle relazioni industriali e su "Strisciarossa". Rilevanti sono anche due importanti lavori monografici: "Il pipistrello di La Fontaine. Crisi, Sinistra, Partito" e "Neosocialismo" pubblicati da Ediesse nel 2014.
Agostini sintetizza il suo modo d’intendere come fare, inscindibilmente, sindacato e politica rimanendo coerenti con i propri ideali giovanili con queste affermazioni: «mi sono sempre considerato un comunista sindacalista. Ho cambiato ruolo di tre anni in tre anni, evitando il più possibile, la peggior malattia che colpisce gli uomini e le organizzazioni: la burocratizzazione». «Ho avuto la fortuna di incontrare maestri di grande livello». «Ho dato il meglio di me ad una organizzazione di combattimento, la CGIL, casa e scudo per i più sfruttati. Ad altri il giudizio sul mio apporto. Da parte mia posso solo dire di essere sempre stato e sempre sarò fedele agli ideali della mia infanzia e giovinezza».
Muore a Roma all'età di 82 anni il 16 maggio 2022.
Giuseppe Righetti nasce a Pesaro il 12 marzo 1926. Appena diciottenne, nel 1944 si iscrive al Partito d'Azione; partecipa poi attivamente alla campagna elettorale per le elezioni politiche e per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, sostenendo la scelta repubblicana. Al momento dello scioglimento del Partito d'Azione, nel 1947 entra nel Partito Socialista Italiano, del quale è ripetutamente vice-segretario e segretario della Federazione provinciale di Pesaro e Urbino, collaborando attivamente con i massimi dirigenti socialisti nazionali (Nenni, Pertini, Morandi, Basso, Lombardi, Mariotti, De Martino, Brodolini, Corona, Pieraccini, ecc.).
Dal 1951 al 1956 vice-presidente della Fondazione "Gioacchino Rossini" di Pesaro. Dal 1956 al 1975 è vice-sindaco del Comune di Pesaro con i sindaci Fastigi, De Sabbata e Stefanini, svolgendo anche le mansioni di assessore all’edilizia privata. Dal luglio 1969 al 1972 è senatore per il PSI, subentrato in sostituzione di Giacomo Brodolini, deceduto l'11 luglio 1969, svolgendo il ruolo di segretario della I Commissione Affari interni e Costituzionali, e componente della Commissione Sanità. Durante l’attività parlamentare ha un assiduo rapporto di collaborazione con Pietro Nenni, proseguito anche successivamente.
Dal 1975 al 1985 viene eletto consigliere regionale delle Marche per il Partito Socialista Italiano, svolgendo anche l'incarico di Presidente della IV Commissione permanente e di capo gruppo del PSI. Dall’8 settembre 1978 al 18 novembre 1980 è assessore regionale al Bilancio, finanze, formazione professionale, personale, lavoro ed enti locali.
Dal 1986 al 1987 fa parte del consiglio di amministrazione della società SIAI Marchetti del gruppo Agusta (EFIM).
È anche componente del Comitato Regionale di Controllo sugli atti degli enti locali della provincia di Pesaro e Urbino. Per dieci anni è coordinatore regionale nelle Marche dell’Associazione degli ex Parlamentari della Repubblica.
Grazie ad formidabile archivio privato, il sen. Righetti è stato un custode ed un divulgatore della memoria storica del PSI marchigiano e nazionale, con articoli e interventi che riportavano alla luce il ricordo di vicende politiche e amministrative che spesso lo avevano visto protagonista.
È nominato Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana - nastrino per uniforme ordinaria, Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana, a Roma il 27 dicembre 2006, su iniziativa del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi.
Muore a Pesaro in 12 marzo 2015.