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Turtura, Donatella
MdM_IT_P_00479 · Persoon · 1933 mar. 30 - 1997 set. 2

Donatella Turtura nasce a Bologna in una famiglia antifascista, il padre dipendente dell'Università è mazziniano e la madre garibaldina. Gli insegnamenti dei genitori e i racconti delle atrocità fasciste nei confronti dei partigiani la segnano profondamente "i principi democratici sono stati il mio primo alimento politico". Donatella ancora studentessa, grazie all'impegno a contatto con gli operai e le mondine viene segnata per il lavoro sindacale. Nel 1947 si iscrive al Partito comunista italiano, Il PCI, in occasione delle elezioni politiche del 1953, la invia come funzionaria a Benevento e ad Avellino dove prende coscienza dei gravi effetti sociali dei contratti agrari e della diversità dei ruoli fra donne e uomini in famiglia e nei luoghi di lavoro. Tornata a Bologna si impegna nel lavoro di partito e poi nel sindacato. Nel 1960 viene chiamata Roma a dirigere la Commissione femminile della Cgil fino al 1966 quando viene nominata nella Segreteria della Federbraccianti e nel 1977 ne diventerà Segretaria generale. Donatella Turtura sarà anche la prima donna a entrare nella Segreteria confederale nel 1981.

Arcangeli, Angelo
MdM_IT_P_00490 · Persoon · 1920 feb. 17 - 1973 set. 20

Angelo Arcangeli nasce a Schieti, frazione di Urbino, il 17 febbraio 1920. La famiglia è connotata da origini popolari: padre operaio e madre casalinga. Ha due sorelle. Frequenta la scuola pubblica fino a concludere gli studi liceali. Inizia ad occuparsi di politica nel 1935 e fa parte delle organizzazioni studentesche solo dal 1939, dopo un periodo trascorso in seminario. Si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Urbino e prende parte alla Seconda Guerra Mondiale nei servizi sedentari del distretto militare di Ferrara come soldato semplice. Con la caduta del fascismo, e conseguentemente ai fatti dell’8 settembre, ritorna a Urbino dove, dopo aver aderito al Fronte della Gioventù (ed esserne diventato il responsabile locale), si iscrive al Pci nel dicembre 1943. Qui organizza il Comitato di Liberazione Nazionale locale e partecipa alla Resistenza nella Brigata GAP di Schieti dove ricopre incarichi di comando in collegamento con il secondo e il terzo battaglione della V Brigata Garibaldi. Dopo la Liberazione, nell’anno accademico 1945-1946, si laurea in Giurisprudenza con una tesi di diritto costituzionale. È tra i pochi laureati iscritti al Pci pesarese in cui milita attivamente ricoprendo l’incarico di segretario di organizzazione dal 1946 al 1948. Giunge alla Cgil nei primi mesi del 1948 dove succede alla guida della Camera del Lavoro pesarese a Mariano Bertini. La congiuntura politico-sindacale in cui si trova ad operare il neosegretario si distingue per mutamenti significativi, con ripercussioni anche a livello locale, che si trasformeranno in autentiche fratture. Sul fronte politico nazionale si era giunti all’allontanamento del Pci dalle posizioni di governo e alla sconfitta socialcomunista nelle elezioni politiche dell’aprile 1948 a cui succede l’attentato all’allora segretario comunista Palmiro Togliatti che portò, anche nel pesarese, alla proclamazione di uno sciopero generale e ad un’imponente manifestazione a Pesaro con migliaia di persone in Piazza del Popolo il 15 luglio 1948. In quell’occasione Arcangeli fu uno degli oratori che intervennero dal palco. Sul fronte sindacale, a sua volta, la dirigenza di Arcangeli ereditava una posizione maggioritaria dei comunisti – sancita dal 65% dei consensi registrati in occasione del primo congresso provinciale nell’aprile del 1947 – all’interno di una Cgil ricostituita da poco più di quattro anni e ancora formalmente unita. In anni connotati da dure lotte, principalmente di carattere mezzadrile, nonché dalla proclamazione di “scioperi alla rovescia” anche nei principali centri urbani, la componente minoritaria cristiana collegata alla Democrazia cristiana pone in discussione la linea sindacale maggioritaria opponendosi in particolar modo agli scioperi politici (di cui quello proclamato in occasione dell’attentato a Togliatti rappresentò l’epilogo di un dissenso già esteso), fino a giungere ad una scissione e successivamente alla costituzione di un sindacato autonomo di matrice cristiana costituitosi formalmente nell’ottobre del 1948. Pur non incidendo in modo sensibile sul radicamento territoriale della Cgil, la scissione della componente cristiana rischia di comprometterne la capacità di proporsi come soggetto rappresentativo e unitario delle istanze lavoratrici. Da qui l’azione volta ad un ampliamento dell’attività organizzativa promossa da Arcangeli rieletto segretario generale in occasione del II congresso provinciale tenutosi il 2-3 settembre 1949. In una provincia ancora scarsamente industrializzata, il mantenimento di un forte insediamento da parte della Cgil nelle aree rurali, in particolare tra le componenti mezzadrili (che rappresentano oltre il 50% degli iscritti ancora a metà degli anni Cinquanta) a discapito dei piccoli coltivatori diretti e dei ceti medi urbani, segna l’agenda sindacale, ma, pur non senza contraddizioni e tentennamenti, è proprio in questi anni che si manifesta una sensibilità non meramente rivendicativa nell’approccio sindacale e più propositiva ed ispirata da indirizzi di politica generale. Infatti, è proprio sotto la guida di Arcangeli che trova una declinazione in ambito locale quel Piano del lavoro promosso dalla Cgil nazionale guidata da Giuseppe Di Vittorio tra il 1949 e 1950 intenta a disegnare il «sindacato come solidarietà organizzata». Nell’ambito pesarese il Piano, redatto in gran parte nel 1949 e presentato pubblicamente nel giugno 1950, denominato Per la rinascita economica della Provincia di Pesaro-Urbino, contiene una prefazione dello stesso Arcangeli che pone in evidenza la necessità di risolvere il grave problema della disoccupazione (già allora congiunto con la riapertura intensiva dei flussi migratori attestata dall’incremento dei passaporti rilasciati) attraverso un vasto ed ambizioso programma di opere pubbliche capace di alimentare i consumi popolari con positive ricadute economiche generali. Un piano di fatto d’ispirazione keynesiana che si proponeva anche di utilizzare alternativamente i fondi ERP (European Recovery Program) legati al Piano Marshall. Non a caso, è lo stesso Arcangeli a riprendere nella prefazione un discorso di James Zallerbach, l’allora responsabile della missione ERP in Italia, che sottolinea la necessità di una rivitalizzazione del mercato interno, dunque di stimolo della domanda e non solo dell’offerta per ovviare alla contrazione delle esportazioni verso gli Usa. Allo stesso tempo, l’esponente statunitense, seppure da una prospettiva tutta interna al processo di accumulazione capitalistico, rimarcava l’esigenza di abbandonare le attività di trasformazione delle materie prime (tra l’altro l’Italia all’epoca era ancora un importatore netto di prodotti agricoli) e d’incentivare lo sviluppo delle industrie meccaniche data l’elevata capacità di assorbire manodopera che potenzialmente vi era connessa. Vi era, dunque, un altro mercato da incentivare, quello costituito dalle famiglie di milioni di disoccupati o parzialmente occupati che se fossero «impiegati a salari normali, il valore del mercato nazionale aumenterebbe di circa il 10% e cioè di 600 miliardi all’anno». Il finanziamento del Piano, secondo un’ottica spiccatamente produttivistica era dunque implicito nella sua capacità di creare ricchezza e lavoro ed avrebbe dovuto incidere «nella vaste zone agricole di arretratezza semifeduale» e nella disarticolazione dei «grandi monopoli capitalistici». Nell’ambito pesarese il Piano si concentrava su almeno quattro grandi dimensioni: a) costituzione di nuovi impianti e sfruttamento dell’energia elettrica (intervenendo soprattutto sui corsi d’acqua); b) agricoltura (con particolare attenzione allo sviluppo della motoaratura, alla valorizzazione delle colture pregiate, alla ricostituzione e consolidamento del patrimonio zootecnico, alla cura del sistema boschivo e al rimboschimento, alle opere di arginatura e difesa fluviale, alle migliorie fondiarie, alla formazione di agronomi condotti e tecnici agricoli); c) edilizia popolare (con l’incremento del fabbisogno abitativo e la ricostruzione e riadattamento dell’edilizia rurale; d) lavori pubblici (strade, scuole, ospedali, ferrovie, acquedotti, industrie estrattive). In definitiva, «la massiccia attivazione di valori attualmente inutilizzati (uomini, mezzi di produzione, materie prime, merci)» avrebbe aumentato la produzione e l’autofinanziamento del Piano. Arcangeli poteva concludere la sua prefazione affermando orgogliosamente che forse per la prima volta i lavoratori prospettavano una risposta generale ai problemi del paese la quale era in grado di sostanziare i principi iscritti nella Costituzione repubblicana. Nel 1951, tuttavia, Arcangeli lascia il sindacato per dedicarsi all’attività di avvocato senza peraltro abbandonare la militanza nel Pci (all’interno del quale già nello stesso anno è segretario per ciò che concerne l’organizzazione e i quadri della federazione provinciale) di cui è prima consigliere e assessore provinciale (dal 1951 al 1960), e successivamente consigliere comunale a Pesaro dal 1960 al 1970. Muore nel capoluogo di provincia il 20 settembre 1973.

Gabbani, Augusto
MdM_IT_P_00499 · Persoon · 1891 mag. 5 - 1983 lug.

Augusto Gabbani nasce a Pozzo Alto, all'epoca Comune della provincia di Pesaro e Urbino, il 5 maggio 1891 in una povera famiglia rurale, cattolica, ma di idee progressiste. Riesce a frequentare la scuola fino alla terza classe delle elementari e, per qualche tempo, riceve le lezioni dal cappellano della parrocchia. Fin da adolescente, a partire dal 1907, partecipa alle prime leghe contadine, organizzate dai socialisti Giuseppe Filippini, Alfredo Faggi e Domenco Gasparini. «La miseria in mezzo ai contadini era spaventosa» scrive Gabbani nei suoi Ricordi. «I contadini non riuscivano, con i diversi prodotti del podere, specie negli anni di avversità atmosferiche, a trarre sufficiente vitto per la famiglia». Tra i debiti contratti, le decime, il costo dei buoi per arare, la metà del raccolto spettante al mezzadro si riduceva di molto. Inoltre vi erano una serie di prestazioni a cui il contadino era tenuto per il fondo del padrone.
Le agitazioni di quegli anni portano ad alcuni successi. Nel profilo biografico di Gabbani, Ermanno Torrico annovera l’accordo strappato nel 1906, quindi appena precedente all’inizio dell’impegno di Gabbani, che prevedeva l’abolizione di alcune tasse, vincolava il proprietario e presentare i conti e statuiva la ripartizione delle sementi in base al reddito per ettari, l’istituzione di un collegio di probiviri composto da coloni e proprietari e la ripartizione a metà di quasi tutti i prodotti. Nei suoi Ricordi Gabbani ricorda tra le conquiste di quegli anni la divisione paritaria di olive e bachi da seta, il compenso al colono per il trasporto di cibo al proprietario e l’abolizione della servitù nella casa del padrone.
Nel 1912, a ventuno anni, Gabbani si iscrive al Psi. Prende parte all’agitazione per la ripartizione delle spese di trebbiatura con i proprietari dei fondi. Per le sue idee pacifiste subisce varie diffide dall’autorità pubblica.
Con la ripresa del movimento dei contadini nel dopoguerra, Gabbani diventa dirigente sindacale e membro del comitato provinciale delle leghe contadine, costituito dall’avvocato Filippini e dal segretario della Camera del Lavoro Dante Spallacci. È tra i fondatori della prima cooperativa di consumo e dell’apertura della prima sezione socialista nel suo comune. È tra gli animatori dello sciopero della trebbiatura, che vale ai contadini un patto colonico più favorevole. Nel 1919 è candidato alle elezioni politiche. Probabilmente a causa della sua attività politica e sindacale, nel gennaio del 1920 i suoi pagliai vanno a fuoco: l’episodio sembra possa essere collocato nello scontro con le leghe bianche cattoliche. Alle elezioni del 15-16 novembre è candidato nelle liste socialiste. Un anno dopo alle amministrative è capolista e, dopo aver ottenuto il numero di voti più alto, viene eletto sindaco di Pozzo Alto. In occasione del congresso di Livorno aderisce al Partito comunista. Tutta la sezione socialista del suo paese e la maggioranza del consiglio comunale lo segue.
Tra le principali opere di sindaco si ricorda la costruzione di importanti strade di collegamento e l’aumento delle classi elementari. Ma il clima è difficile. Per ripianare il bilancio comunale, ereditato in forte passivo, aumenta le tasse a carico dei proprietari terrieri. Gli agrari passano dai tentativi di corruzione alle minacce. La contrapposizione si inasprisce ulteriormente in seguito alla costruzione del nuovo acquedotto, attraverso un consorzio costituito con i comuni di Tomba, Gradara e Montelabbate: le acque infatti sono captate dalla sorgente situata nella proprietà del locatore del suo fondo, Augusto Mariotti.
Il contrasto con gli agrari è il terreno di coltura delle violenze squadriste. Nel luglio del 1922, il 29, Gabbani viene arrestato nel corso di una mobilitazione per il rispetto dei diritti sindacali durante la trebbiatura. Rimane in carcere fino al 7 agosto. Il giorno dopo la sua scarcerazione, numerosi fascisti armati, guidati da Raffaello Riccardi, circondano la sua casa e lo obbligano a seguirli in municipio, rivoltella alla mano. Qui viene duramente picchiato e avvolto nella bandiera del comune, poi viene costretto a percorrere le vie del paese tra bastonature e dileggi, infine con la pistola puntata alla tempia dallo stesso Riccardi, gli viene intimato di firmare le dimissioni e di riunire la popolazione per rinnegare pubblicamente il suo ideale politico e aderire al fascismo. Gabbani riesce a evitare questa seconda umiliazione: si nasconde e rientra a casa solo due settimane dopo. Ma la vita è divenuta impossibile: è continuamente sorvegliato, più volte fermato e trattenuto, subisce numerose perquisizioni per i suoi contatti con gli antifascisti fuoriusciti in Francia.
Nel 1930, pur con un grande tormento personale, accetta l’adesione al sindacato fascista di Pozzo Alto per mantenere il contatto con i lavoratori, assecondando le indicazioni del partito clandestino. Il sindacato fascista riesce a ottenere alcuni sgravi fiscali e a stabilire una cassa mutua per i contadini. Questa viene inizialmente ostacolata dall’ordine dei medici che ne impediscono nei primi mesi il funzionamento, ma poi prende piede, risultando una sorta di anticipazione della mutua nazionale, istituita nel 1939, che ne avrebbe assorbito il patrimonio. Nel 1933, sempre dall’interno del sindacato avvia una discussione per una riforma del patto colonico. Nel 1934 la piattaforma rivendicativa del sindacato di Pozzo, presentato a Pesaro al convegno dei dirigenti sindacali, è lungamente applaudito dai coloni presenti. Contiene rivendicazioni avanzate per il tempo: la fornitura di macchine più moderne, la costruzione di nuove strade, il restauro delle abitazioni, la fornitura di luce e acqua. Il documento avrebbe avuto riflessi anche sulla vicenda politica nazionale. La reazione degli agrari sarebbe stata tra i motivi della sostituzione del presidente della Confederazione nazionale dell’agricoltura Razza e del segretario nazionale Gattamorta, che si era impegnato a esibirlo a Mussolini.
Gabbani riesce così a mantenere, pur in una posizione difficile, il legame con i lavoratori anche durante la guerra. Dopo l’8 settembre partecipa attivamente alla Resistenza: si adopera per mettere in salvo i soldati sbandati, organizza sabotaggi lungo la Linea Gotica, partecipa a diverse azioni di disarmo della milizia fascista. Partecipa inoltre alla ricostruzione della clandestina Federazione provinciale comunista. Le riunioni si tengono a Santa Maria delle Fabbrecce, a casa dell’onorevole Mancini. Costretto a sfollare con la famiglia a Scotaneto, viene qui raggiunto da alcuni compagni che portano le armi sequestrate. Presi i contatti con la brigata “Bruno Lugli”, entra nel comando militare. Il capanno dove abita è il luogo di riferimento dei giovani che vogliono raggiungere la Resistenza. Il 26 luglio 1944, poco prima della liberazione della provincia, il capanno è oggetto di un attacco incendiario e viene raso al suolo, ma in quel momento nessuno vi si trovava all’interno. Appena passato il fronte, Augusto Gabbani viene incaricato di costituire il Comitato di liberazione nazionale a Tavullia, ma non riesce a raggiungerla, venendo fermato e derubato da un soldato canadese prima di arrivarci. Essendo il suo paese natale, Pozzo Alto, distrutto dalla guerra, ripara a Villa Fastiggi. Dal partito riceve l’incarico di ricostituire la Confederterra e la Camera del Lavoro provinciale: è tra i membri della prima Segreteria del 1944, quella presieduta da Bruno Alciati, assieme Dante Spallacci, Giovanni Giordani e Arnaldo Forlani. Con Dante Spallacci è l’unico membro che viene confermato anche nel 1946, nella nuova segreteria presieduta da Mariano Bertini. Nuovamente il suo impegno si cala nella riorganizzazione del movimento contadino di cui cerca di riprendere le fila in tutta la valle del Foglia. Data la sua esperienza è il regista delle manifestazioni organizzate dalla Federterra per l’applicazione del lodo De Gasperi e il varo di un nuovo patto mezzadrile.
Nel 1947 si adopera a favore di alcuni contadini arrestati durante lo sciopero delle fiere e dei mercati per il bestiame, ottenendo dal presidente del tribunale di Urbino il rilascio. Pur non avendo partecipato ai fatti, viene tuttavia denunciato come «capo di un’associazione a delinquere» e condannato a due anni e otto mesi. Sarebbe stato assolto poi in appello, difeso da Enzo Capalozza. Nel 1948 dirige per l’ultimo anno la Confederterra di Pesaro, prima di passare all’Ufficio vertenze. Al III Congresso della Federmezzadri del 1952 partecipa alla Commissione Contratti e vertenze e figura nel Comitato direttivo. È ancora nel Comitato direttivo dei successivi Congressi, il quarto, che si tiene nel 1955 e il quinto, del 1957. L’anno successivo decide di pensionarsi per le cattive condizioni di salute, ma continua a partecipare, come 'giudice esperto', alla commissione agraria presso il tribunale di Pesaro, fino al suo scioglimento nel 1963. Continua a vivere a Pesaro, dove risulta residente nel 1969, prima di trasferirsi a Mombaroccio, dove muore il 31 luglio 1983. «Così la mia vita è trascorsa» scrive Gabbani alla fine dei suoi Ricordi. «Nella difesa degli interessi dei mezzadri, fino a quando ho potuto».

Levantesi, Lanfranco
MdM_IT_P_00502 · Persoon · 1924 mar. 15 - 1993 apr. 18

Nato a Fermo, frequenta solo la scuola elementare. Si arruola nell'esercito subito dopo l'entrata in guerra dell'Italia, ma dopo l'8 settembre riesce a sfuggire alla cattura dei nazisti travestendosi da sacerdote e raggiunge le bande partigiane che operano sui Sibillini, grazie alle numerose azioni ottiene il grado di tenente.
Dopo la fine della guerra si iscrive al Partito socialista italiano (PSI) e inizia la sua attività di sindacalista nella Confederterra. Nel 1950 gli viene affidato l'incarico di Segretario della Camera del lavoro di Fermo e nel 1953 viene chiamato in Ancona a dirigere la Federmezzadri. All'attività sindacale unisce l'impegno nel Partito socialista e nel 1964 alle elezioni amministrative entra nel consiglio comunale di Ancona e ricopre il ruolo di assessore. In seguito al processo di democratizzazione dell'Inps i rappresentanti sindacali entrano nella gestione dell'istituto e Levantesi va a ricoprire la carica di presidente del comitato provinciale dell'ente dal 1971 al 1975 e, nel quinquennio successivo, del comitato regionale. Negli anni successivi, dopo la direzione dell'Inca nel 1982, viene eletto segretario regionale dello Spi. Levantesi lascia l'attività sindacale nel 1990 e muore in Ancona nel 1993.

Palmetti, Umberto
MdM_IT_P_00508 · Persoon · 1923 -

Contadino, nato a San Giovanni in Marignano, dopo l'8 settembre inizia a lavorare per la Todt a Montecchio e compie azioni di sabotaggio rallentando i lavori per agevolare il passaggio degli Alleati. Dopo la liberazione si iscrive al PCI, il 1 gennaio del 1952 entra come funzionario della Cgil e diventa prima responsabile e poi Segretario della Camera del lavoro di Gabicce Mare.

Stefanini, Marcello
MdM_IT_P_00509 · Persoon · 1938 gen. 11 - 1994 dic. 29

Marcello Stefanini nasce a Comunanza l'11 gennaio 1938. Si laurea in agraria presso l'Università di Perugia. Dal 1965 è consigliere e assessore comunale di Pesaro. Del comune di Pesaro è sindaco dal 1970 al 1978 per il Partito comunista italiano (PCI). Dal 1978 diviene segretario regionale delle Marche. Nel 1980 è eletto consigliere regionale. Nel 1987 è eletto deputato alla Camera per il PCI nel collegio di Ancona. Diviene membro della segreteria nazionale del partito e Tesoriere nazionale nel 1990. Nel 1992 viene eletto senatore per il Partito democratico della sinistra (PDS). Nel 1993 viene coinvolto nella stagione di Mani pulite per le tangenti del gruppo Ferruzzi al PDS. Viene anche chiesto il suo rinvio a giudizio per Malpensa 2000. A fine 1994 muore improvvisamente per un'emorragia cerebrale. Muore a Pesaro il 29 dicembre 1994. Ogni suo coinvolgimento viene fugato dalle indagini e via via archiviati i casi che lo vedevano coinvolto: non per morte sopraggiunta ma per inconsistenza delle accuse.

Aiudi, Piero
MdM_IT_P_00513 · Persoon · 1948 nov. 9 -

Piero Aiudi nasce a Fossombrone il 9 novembre 1948 in una famiglia operaia e antifascista. Il padre prima socialista aveva poi aderito al Pci e la madre, casalinga, partecipava attivamente alla vita politica a Fossombrone, la passione per la politica nata in famiglia si rafforza con il trasferimento a Pesaro nella frazione molto politicizzata di Villa Fastiggi, dove comincia a frequentare la Sezione del Pci e la sua biblioteca. Aiudi si iscrive alla Federazione giovanile del Pci a quindici anni, quando già lavorava come falegname nel Mobilificio Fastigi. Il Partito lo spinge ad interessarsi al sindacato e diventa giovanissimo rappresentante sindacale. L’attivismo sindacale corrisponde alla sua formazione politica e culturale. Nel 1975 Enrico Biettini, all’epoca segretario aggiunto, della Camera confederale del lavoro di Pesaro, gli propone di occuparsi del patronato Inca, dopo tre anni diventa responsabile dell’Inca di Fano, ma subito dopo pochi mesi arriva la proposta di dirigere la Fillea di Fano, per passare poi alla Filtea. Gli anni passati alla Filtea corrispondono alle lunghe lotte legate alle vertenze per la CIA, la più grande fabbrica di abbigliamento delle Marche, e di altre aziende che con la crisi licenziarono centinaia di dipendenti. Successivamente entra nella Segreteria della Camera del lavoro di Fano dove rimarrà fino al 1991 quando, con la riunificazione dei comprensori di Pesaro e Fano, è chiamato da Lino Lucarini per entrare nella Segreteria provinciale, diventa poi Segretario provinciale della Fillea, ma anche questa esperienza durerà pochi mesi perché sarà chiamato a dirigere il Patronato Inca regionale. Rimarrà a dirigere l’Inca per dieci anni, fino al 2001 per poi andare in pensione nel 2002.

Galuzzi, Giuseppe
MdM_IT_P_00590 · Persoon · 1928 gen. 22 - 2018 set. 12

Giuseppe Galuzzi nasce a Trasanni, frazione di Urbino, il 22 gennaio 1928. Proviene da una famiglia numerosa di origini romagnole che vide sia il padre che un nonno emigrati in Germania. È il quinto di sette figli. Frequenta la scuola elementare e solo successivamente, con l’interesse e la volontà dell’autodidatta, consegue il diploma di terza media. Terminata la scuola elementare nel 1940, di fronte ad una situazione economica deteriorata, in cui, come ricorda lo stesso Galuzzi, «si faceva la fame [seppure] non completamente», già l’anno successivo va a lavorare ‘a garzone’ presso una famiglia contadina di mezzadri dove lavora per un anno. Lo scoppio della guerra, che si «porta di via» i due fratelli maggiori richiamati alle armi, peggiora ulteriormente le condizioni economiche. A Trasanni si trova anche una delle più grandi polveriere dell’aeronautica militare in cui lavorano molte famiglie del luogo, i ‘casanti’, come venivano chiamati, e qui Galuzzi prende il posto dei fratelli maggiori. L’inizio della sua formazione politica risale al 1943, quando entra in contatto con militanti comunisti che organizzano incontri clandestini e, dopo l’8 settembre, con le prime formazioni armate partigiane, i GAP locali, con cui inizia a collaborare come staffetta portando armi di notte nei rifugi o ordini e comunicazioni e contribuendo a scrivere messaggi antifascisti sui muri. Tutto ciò fino all’agosto del 1944, quando, liberata Urbino, si ricostituiscono le leghe dei mezzadri e si riorganizza il sindacato unitario fino all’insediamento della Camera del Lavoro provinciale. Galuzzi, in prima istanza, si iscrive al Fronte della Gioventù, l’organizzazione fondata dal comunista Eugenio Curiel che raccoglieva i giovani antifascisti di diverso orientamento, poi, nel 1945, aderisce alla Federazione giovanile comunista italiana (Fgci) e quindi al Pci. Le condizioni delle campagne, che per quanto misere, diversamente dai centri urbani bombardati, avevano consentito di sfamare chi vi abitava, erano ormai incapaci di offrire opportunità di lavoro in un contesto d’incremento della disoccupazione. Il vetusto patto colonico mezzadrile rappresenta un ulteriore intralcio alla modernizzazione dei processi produttivi e all’emancipazione di vaste masse. Da qui l’asprezza del ciclo di lotte. Partecipa attivamente alla vita organizzativa del Pci e rimarca, nei suoi ricordi, quanto si partecipasse costantemente alle riunioni e alle iniziative sindacali pur lavorando nei cantieri. Infatti, seppure saltuariamente, Galuzzi lavora come muratore nella ricostruzione di ponti e della linea ferroviaria Urbino-Fermignano. Tuttavia, tra il 1950 e il 1951, insieme ad altri, è costretto a lasciare Urbino per andare ad Aosta, dove lavora sempre nell’edilizia. Anche in quel contesto non viene meno l’attivismo politico, in particolare diffondendo il quotidiano del Pci, l’Unità, tanto che nel 1951 viene invitato dalla Federazione dei giovani comunisti di Aosta a rimanere in loco per promuoverne l’organizzazione e contribuire all’espansione nella regione. Per questo motivo, dopo un breve soggiorno nei luoghi natii, viene inviato a Torino, dove frequenta un corso di formazione politica organizzato dal Pci. Qui ha modo di ascoltare lezioni di dirigenti ed intellettuali come Italo Calvino e conosce numerosi dirigenti e parlamentari comunisti. Rientra ad Aosta, in cui trascorre l’inverno, ma già tra marzo e aprile la condizione economica dell’organizzazione comunista è talmente fragile che non può permettersi di pagare un altro funzionario. Galuzzi, quindi, ritorna a lavorare in un cantiere, ma non prima di essersi speso nella campagna elettorale locale ed incorrere, durante attività propagandistiche, in un fermo. Ciò lo porta, in un momento di nervosismo, ad una colluttazione con il commissario della pubblica sicurezza cui segue l’arresto. Solo la protesta dei giovani compagni porta alla scarcerazione il giorno successivo. Ad ogni modo, rientra successivamente a Pesaro ed è chiamato dal Pci a lavorare con la Cgil, prima, per un breve periodo, come dirigente del settore sindacale giovanile, poi, nell’inverno del 1953, dopo che il partito lo aveva inviato a Macerata Feltria, per la campagna elettorale contro la cosiddetta ‘legge truffa’ (che avrebbe permesso di assegnare il 65% dei seggi alla lista o alla coalizione di liste che avesse superato il 50% dei voti validi). Qui nel 1954 (fino al 1957) è incaricato dalla Cgil di dirigere la Camera del Lavoro mandamentale. Si tratta di un’area territoriale importante che include tredici comuni, ma è anche una zona povera, con una netta prevalenza dell’economia mezzadrile, dove i rapporti fra mezzadri e padroni sono ancora particolarmente tesi e conflittuali dopo il cosiddetto ‘sequestro dei padroni’ per l’effettiva attuazione del Lodo De Gasperi già promulgato nel maggio 1947. Come si è detto, «sono anni legati alle vertenze per le pensioni ai mezzadri e alla contestazione delle disdette che, quasi sempre notificate con preavviso di poche settimane e senza la necessità di indicare una giusta causa, mandano in rovina il mezzadro e la sua famiglia». Nel 1957 Galuzzi è richiamato a Pesaro e, dopo un periodo presso la Fillea, lavora nella segreteria provinciale della Federmezzadri. Nel 1963 inizia una lunga e combattiva esperienza presso l’Ufficio vertenze della Camera del Lavoro provinciale. In questo ruolo si occupa in particolar modo delle rivendicazioni e dei contratti di quelle categorie di lavoratori che non sono singolarmente rappresentate: da chi è impiegato nelle farmacie (per cui c’era solo un contratto nazionale di carattere normativo e non economico a livello nazionale), agli addetti ai trasporti, dagli assicuratori a collaboratori/collaboratrici familiari, dai facchini ai barbieri/parrucchieri. In alcuni casi si conseguono risultati inaspettati e particolarmente rilevanti. Tra questi, si segnalano il contratto regionale per gli impiegati delle assicurazioni e la quattordicesima mensilità per i fornai di Pesaro, che sono i primi a livello nazionale ad ottenere questa integrazione salariale. Negli anni Sessanta, inoltre, sempre a Pesaro, superando i pareri discordi della Cgil nazionale che nutre in merito una diffidenza che non si può definire semplicemente ideologica, bensì dettata dal fatto che ciò avrebbe potuto creare un vulnus per deregolamentare qualifiche e contratti più solidi ritagliati sulla figura lavorativa impiegata a tempo pieno, si realizza il primo contratto part-time per le lavoratrici della Standa. Un luogo, quest’ultimo, come ricorda Galuzzi, in cui prima «non riusciva ad entrare nessuno di sinistra». Per giungere a quel tipo di contratto, infatti, prima si era riusciti ad ottenere una commissione interna, a nominare un rappresentante e a conquistare il diritto di svolgere un’assemblea. In questo caso sarà anche impugnato, con successo, il rifiuto del datore di lavoro di pagare come straordinario le ore eccedenti il part-time, che si registrano in particolare nei periodi di maggiore attività dell’azienda. Galuzzi, inoltre, gioca un importante ruolo anche nell’ambito della cooperazione riguardante la grande distribuzione. In seguito all’adesione della pesarese Alleanza Cooperativa alla Coop Romagna Marche e alla difficoltà occupazionali che si crearono, Galuzzi ha modo di lavorare di concerto con il segretario della Filcams di Ravenna affinché nasca proprio a Pesaro, nell’area dell’ex Montecatini (ormai dismessa e chiusa dalla metà degli anni Ottanta), una delle prime imponenti strutture dedicate alla grande distribuzione come Ipercoop. E ciò avviene non senza frizioni e opposizioni all’interno dello stesso Pci. Se l’esperienza all’Ufficio vertenze termina nel 1979, egli rimane attivo nella Cgil fino al 1989, ricoprendo per un decennio l’incarico di rappresentarla nella commissione regionale dell’Inps. Ha anche modo, inoltre, di lavorare nella Commissione provinciale per la distribuzione degli alloggi popolari presso l’Istituto Autonomo delle Case popolari (Iacp), Dopo il pensionamento continua il suo attivismo nel Sindacato Pensionati e torna a risiedere a Trasanni dove ha modo di dedicarsi anche all’attività agricola. Muore a Urbino il 12 settembre 2018.

Frontalini, Anna
MdM_IT_P_00529 · Persoon · 1959 mag. 4 -

Nata a Fano. Nel 1991 Direttrice patronato Inca.