Nasce il 14 giugno del 1953 a Chiusa di Ginestreto (fino al 1929 Ginestreto era stato un Comune poi aggregato a Pesaro); i genitori erano casanti, padre operaio saltuario, poi fuochista alla fornace PICA, madre casalinga e bracciante. Quando ha tre anni la famiglia si trasfesce a Pozzo Basso dove alla famiglia viene assegnato un appartamento delle case popolari. I genitori erano entrambi comunisti, anzitutto per il riscatto delle loro condizioni di vita, ma anche per l’influenza dello zio, staffetta partigiana. In questo contesto famigliare dai primi anni di vita incontra la politica e il PCI. Già a quattro anni il padre gli insegna a diffondere l’Unità la domenica, ma è anche un fervente chierichetto, che ha servito messa per tutto il periodo delle elementari, «un catto-comunista senza saperlo». L’impegno politico militante inizia nel 1967 con l’iscrizione al circolo della FGCI di Pozzo Basso (con Gianfranco Roberti segretario di sezione, che poi divenne dirigente della CGIL prima alla Fillea e in seguito nella Camera del Lavoro) e nel movimento studentesco in Urbino dove studia all’Istituto Tecnico e si diploma in elettronica industriale. Qui partecipa alle prime manifestazioni studentesche, alle prime occupazioni dell’Istituto, alle liti quotidiane «come sempre e da sempre per non farci mancare nulla su chi era più a sinistra e come si doveva fare per esserlo» con i compagni della sinistra extraparlamentare, alle lotte con gli studenti universitari, all’incontro con il teatro politico di Dario Fo al Teatro Spento e ai i primi contatti con la Camera del Lavoro di Urbino.
A 16 anni diventa segretario del circolo e inizia l’attività di riorganizzazione e di tesseramento alla FGCI dove, conseguendo ottimi risultati, viene notato dalla FGCI provinciale, da Luigi Gennarini prima e Stefano Angelini poi, e inserito negli organismi dirigenti fino a divenire, negli anni successivi segretario di zona della federazione giovanile, che contava all’epoca oltre 5000 iscritti. Diventa poi segretario organizzativo nella segreteria provinciale. Dopo il diploma si iscrive a Medicina che frequenta per quattro anni alternando gli studi con il lavoro al Partito, ma l’amore per la politica era così forte che decide di lasciare gli studi universitari per un impegno totalizzante come funzionario del PCI di zona «per altro senza mai essere pagato», nel frattempo viene inserito anche nel Consiglio di amministrazione dell’Ospedale San Salvatore di Pesaro. Alla fine del 1979 il Consiglio di amministrazione viene soppresso con l’entrata in vigore della legge 833 del 23 dicembre 1978, che istituiva il Servizio sanitario nazionale (detta anche Riforma sanitaria).
Nel 1976 viene eletto segretario della sezione comunista di Pozzo «ricordo che la prima discussione che feci, purtroppo con relativi strappi nella militanza, fu relativa alla opportunità di togliere il quadro di Stalin dalle pareti della sezione e diversi compagni anziani non me lo perdoneranno per molti anni a venire». In un paese, Pozzo, con poco più di 1100 abitanti c’erano quasi 500 iscritti tra Partito e FGCI, e si era ottenuto il 70% dei voti alle elezioni politiche e amministrative «erano i tempi in cui già qualche giorno prima del voto sapevamo con una precisione del 99% quanti voti avremmo ricevuto e quanti gli altri partiti, la capillarità della presenza nel territorio e il suo ‘controllo’ ci permettevano di ottenere questi risultati». Nel 1979, dopo la nascita della figlia Giulia, lascia il funzionariato di Partito e riprende gli studi universitari a Urbino, dove in seguito conseguirà la laurea in Scienze biologiche, matematiche e fisiche. Verso la fine della primavera del 1980 Massimo Falcioni segretario della Camera del lavoro Provinciale di Pesaro gli chiede la disponibilità a lavorare in CGIL. Dopo un mese di riflessioni e di confronti in casa e con i compagni di sezione e della Federazione con cui era rimasto più strettamente in contatto, accetta «i miei dubbi riguardavano la capacità di riuscire a svolgere questo nuovo impegno senza sapere praticamente nulla delle politiche sindacali e del suo modello organizzativo, della confederazione, delle categorie, il rapporto con le altre organizzazioni sindacali, le componenti politiche sindacali, ecc.».
Falcioni e Mario Mauri (Segretario provinciale aggiunto) avevano concordato l’ingresso di un gruppo di giovani provenienti specialmente dal mondo studentesco per innestare nuove energie e ricostruire un gruppo dirigente che ancora soffriva delle grandi fratture che c’erano state nell’ultimo decennio dentro la Camera del lavoro di Pesaro, nel rapporto con i partiti e specialmente con il PCI. Lo scontro delle idee e delle azioni che si era svolto, era di natura sindacale: sul ruolo dei Consigli di fabbrica – prima e dopo la legge del 20 maggio 1970 che n. 300 che detta le norme per lo Statuto dei lavoratori, prima e dopo il ’68 -, sulla loro nuova soggettività politica, sulla vertenza territoriale per nuovi servizi sociali e sugli spazi di iniziativa politica e culturale. Ma lo scontro era anche molto politico coinvolgendo il Partito, l’autonomia dal Partito «allora c’erano ancora le commissioni di massa ovvero il Partito che ‘dava la linea’ ai lavoratori, agli artigiani, ai contadini, ai commercianti, iscritti o vicini alle posizioni del PCI, per dirla in modo più colorito, lo scontro ha riguardato anche la presa del ‘palazzo d’inverno’ cioè la direzione della Federazione del PCI ritenuto a torto o a ragione il centro del potere, il Dominus. In altre parole le aspre battaglie politiche, condotte senza esclusione di colpi, riguardavano da una parte quei compagni che volevano fare dei consigli di fabbrica il nucleo centrale di una rinnovata classe operaia capace di diventare soggetto politico e guidare la trasformazione del tessuto produttivo e sociale con una forte alleanza con gli studenti e la cultura e dall’altra altri compagni che ritenevano che il lavoratori dovevano essere sì centrali nel modello di sviluppo attraverso lo sviluppo dei diritti, ma questo modello di società nuova doveva anche essere compenetrato dagli interessi di altri soggetti: le imprese (grandi e piccole), i commercianti, i contadini e i professionisti, cioè attraverso politiche di alleanze. Queste battaglie che erano durate molti anni alla loro conclusione avevano portato all’allontanamento verso altre esperienze sindacali di CGIL e di federazioni di categorie sparsi in giro per l’Italia di quei compagni che uscirono sconfitti (Luigi Agostini e altri), e umanamente aveva lasciato anche conseguenze fatte di diffidenze, a volte di rancori, di non affidabilità della ‘linea politica’ di tanti compagni. In altre parole si doveva ricostruire un clima, e nuovo gruppo dirigente».
Il 1° luglio del 1980 Francesconi inizia la sua vita di funzionario della CGIL, venendo cooptato a fine luglio negli organismi dirigenti della Camera del lavoro come addetto stampa e per occuparsi della propaganda e delle 150 ore).
«Il primo giorno subito un impatto da batticuore, Falcioni mi manda alla Benelli moto dove i lavoratori stavano scioperando per il contratto integrativo aziendale, in rappresentanza della Camera del Lavoro (c’erano rapporti molto tesi con la FLM) e partecipai all’organizzazione della lotta (che durò fino ai primi di ottobre ma De Tommaso non si spostò che di pochi millimetri e la FLM – con il segretario nazionale Gianni Italia - chiuse quella vertenza con una manciata di lire di aumento, ma soprattutto iniziò la crisi occupazionale della Benelli). Così come da lì a breve mi fecero fare la prima assemblea, al mobilificio Cenerini di Santa Maria delle Fabbrecce (facevano le casse da morto), e il primo incontro con i lavoratori dei corsi delle 150 ore per il conseguimento della licenza media».,
La confederazione a fine 1980 rivede il modello organizzativo con il superamento delle Camere del lavoro provinciali e l’istituzione delle Camere del lavoro comprensoriali. Falcioni, che era stato mandato al regionale alla categoria dei tessili, viene sostituito da Rodolfo Costantini che, dopo pochi giorni, gli comunica che doveva andare a lavorare alla Camera del lavoro di Fano con Riccardo Spaccazocchi segretario generale e Bino Fanelli segretario aggiunto.
In questa fase è impegnato con il congresso costitutivo della Camera del lavoro comprensoriale di Fano, ed entra nella segreteria della Camera del lavoro per occuparsi del sindacato dei pescatori, di parte dell’Ufficio vertenze, «diretto da Marcello Alessandrini già delegato del calzaturificio Serafini, vertenza che in seguito alla chiusura dello stabilimento, segnò profondamente in negativo la storia della Camera del lavoro di Fano», dell’organizzazione della Camera del lavoro e diventa segretario generale dei pubblici dipendenti. Poi appena un anno e mezzo dopo, Rossano Rimelli, Segretario generale aggiunto della CGIL Marche, lo porta direttamente nella segreteria regionale con la responsabilità dei settori sanità, enti locali, servizi sociali e riforma della Pubblica amministrazione «a partire dalla così detta riforma intercompartimentale che aveva l’obiettivo di unificare omogeneizzandole tutte le diverse normative vigenti all’interno dei singoli settori della Pubblica amministrazione, praticamente mi facevano fare dell’apprendistato perché il mio destino era quello di andare a dirigere la FP CGIL delle Marche». Così nel 1984 viene cooptato in questa nuova categoria e dopo qualche mese sostituisce Italo Javarone alla Segreteria generale di categoria. «Fu una bella esperienza perché partecipai, insieme ad altri compagni, alla costruzione di una nuova grande importante categoria di tutti i lavoratori pubblici, fino ad allora dispersi in varie categorie e settori, un lavoro di grande soddisfazioni. Mi chiesero di andare a lavorare in Funzione pubblica nazionale nel dipartimento organizzativo, ma avendo avuto il secondo figlio, Enrico, preferii avvicinarmi a casa e rientrai alla Camera del lavoro di Pesaro, dove Segretario generale era Lino Lucarini».
Dal 1988 al 2005 ricopre diverse mansioni come componente della Segreteria territoriale, anzitutto quelle delle politiche pubbliche, dei servizi sociali, del sindacato dei diritti lanciato da Trentin alla conferenza di organizzazione di Chianciano, di handicap e inserimento lavorativo, immigrazione, cooperazione sociale. «Organizzai per la prima volta i soci-lavoratori di queste cooperative, una modalità di lavoro di confine tra lavoro dipendente e imprenditoria sociale, partecipando alla scrittura del primo contratto nazionale per la parte che riguardava la tutela dei lavoratori appartenenti alle così dette fasce deboli e ricoprii anche ruoli dirigenziali di categoria prima alla Fiom (segretario Tarsi) e poi come segretario generale della FILCEA (energia ,gomma e plastica). In quel periodo fui promotore insieme ad altri della costituzione dell’Università dell’età libera chiedendo a Paolo Volponi di presiederla (in seguito alla sua morte, successivamente a lui fu dedicata)».
Dal 1995 al 2002 diventa Segretario provinciale del Sindacato pensionati italiano, anche qui con un lavoro politico ed organizzativo di grande soddisfazione nella costruzione delle leghe territoriali dei pensionati con una forte autonomia politica ed amministrativa, volto alla tutela dei pensionati attraverso servizi erogati dalla CGIL ma soprattutto con la contrattazione sociale territoriale con i Comuni e le ASL. «Un periodo di grande protagonismo sindacale dei pensionati che comportò anche qualche scontro politico con la segreteria generale della Camera del Lavoro (Giuliano Giampaoli)».
Successivamente, per quasi due anni, collabora con l’Assessorato ai Servizi sociali del Comune di Fano alla progettazione di una nuova serie di servizi sociali in particolare rivolti alle persone anziane e a quelle con problemi psichiatrici. «Anche quello fu un lavoro svolto ‘dall’altra parte della barricata’ ricco di soddisfazione, purtroppo interrotto appena due anni dopo quando l’amministrazione comunale passò da un governo di sinistra ad uno di destra, così non mi fu rinnovato il contratto di lavoro e rientrai in CGIL, prima di accettare la proposta del Comune di Fano chiesi e ottenni il consenso della CGIL Marche di fare questa esperienza e di rientrare se l’esperienza si fosse interrotta o per mia incapacità o per altri motivi politici istituzionali o elettorali, appunto».
Dal 1° settembre del 2004 Gianni Venturi, segretario generale della CGIL Marche, lo chiama a dirigere il Dipartimento formazione e ricerca. In questa veste si occupa soprattutto di organizzare i Fondi interprofessionali per la formazione continua dei lavoratori dipendenti, alimentati dallo 0,30% dei versamenti contributivi e gestiti in maniera paritetica con le controparti contrattuali. Si trattava di una grande occasione per le RSU e per i delegati, destinare pacchetti di ore formative da svolgersi durante il normale orario di lavoro per aumentare le competenze professionali e culturali dei lavoratori dipendenti e contribuire attraverso questa strada all’aumento della competitività aziendale, attraverso la contrattazione aziendale «le aziende non furono mai pronte a questa innovazione che avevano avuto origine con il governo Ciampi attraverso la pratica della concertazione». Si occupa nel contempo di formazione permanente degli adulti e dell’organizzazione dei corsi IFTS, ITS (formazione specialistica post diploma) e dei Master universitari, con l’obiettivo di creare professionalità nuove per il tessuto industriale e produttivo. Per conto di CGIL Marche è stato componente del Comitato di sorveglianza della Regione Marche occupandosi del Fondo sociale europeo (FSE). Contemporaneamente inizia a svolgere anche la formazione sindacale che di li a poco tempo avrebbe avuto uno sviluppo esponenziale. Con il superamento organizzativo del dipartimento formazione e ricerca voluto dalla CGIL nazionale si crea il dipartimento della Formazione sindacale e in contemporanea la CGIL Marche costituisce anche il dipartimento welfare che Francesconi andrà a dirigere unitamente al dipartimento formazione sindacale fino al periodo del pensionamento avvenuto il 31 dicembre 2019.
Di questo ultimo periodo, dal 2010 al 2019, rimane significativa l’esperienza che ha contribuito a realizzare (unica nel panorama sindacale nazionale) la convenzione sottoscritta (insieme a CISL e UIL e alle Organizzazioni degli artigiani) e con l’Università di Camerino per permettere ai compagni e agli altri colleghi, che per diversi motivi non avevano la laurea, di conseguire quella in Scienze politiche «quasi 20 compagni della CGIL si laurearono». In quegli anni è importante segnalare la serietà dell’impegno formativo della CGIL Marche «che aveva deciso di dedicare l’1% dei bilanci al finanziamento della formazione», diretto ai delegati e al gruppo dirigente in modo metodico e co-progettato, coinvolgendo le Camere del lavoro e le categorie. Viene inoltre sperimentata la formazione a distanza con la creazione di una piattaforma di e-learning della CGIL Marche «coadiuvato tecnicamente da Sandro Tumini ingegnere e delegato della Università Politecnica delle Marche, accompagnata dalla formazione per l’uso intelligente dei social-media in un processo di nuova comunicazione (protagonismo dei soggetti sindacali, attraverso immagini, interviste all’interno di uno spazio temporale breve che comportava utilizzare meno parole e specialmente utilizzare meno il ‘sindacalese’). Così come i Master formativi residenziali di durata annuale rivolti ai giovani dirigenti della CGIL con una progettazione del tutto nuova rispetto al passato introducendo anche una parte di ‘intrattenimento culturale’ come parte integrante del programma formativo (incontri con autori, partecipazione a mostre ecc.) che mai era stata fatta prima. Così come mi sento orgoglioso di aver istituito il Servizio civile in CGIL Marche partecipando ad un bando della Regione Marche dove con un nostro progetto potemmo inserire in due anni 30 ragazze e ragazzi delle Camere del Lavoro a far conoscere loro il sindacato e come lavorava, i servizi che eroga, e noi a beneficiare dell’arrivo di nuove mentalità ed energie».
Forte negli ultimi tempi il suo impegno sul versante dei Servizi sociali, rivolgendo in particolare l’attenzione sulla povertà che anche nelle Marche sta assumendo una dimensione massiccia in contemporanea alla crisi occupazionale «seppure in modo differente otre il 10% della popolazione marchigiana ne era interessata».
Dal dipartimento Welfare attiva un lungo processo di contrattazione sociale territoriale con i Comuni e di confronto e di contrattazione con la Regione Marche «portato avanti in modo convintamente unitario» innanzitutto volto ad aumentare le risorse da destinare ai servizi sociali e verso la riorganizzazione dei modelli gestionali previsti dal Piano sociale regionale per la costruzione degli Ambiti territoriali sociali e «la rivendicazione dell’adozione di politiche socio-sanitarie, molto carenti nella nostra Regione dove l’attenzione è sempre stata rivolta alla sanità e molto meno al socio sanitario, perché il ceto politico ai diversi livelli, ha sempre fatto prevalere un intento risarcitorio ed assistenziale rispetto a politiche di sviluppo dove il sociale è uno dei cardini essenziali per conseguire un buon welfare».
Con il Congresso nazionale del 3-6 mar. 1966 si costituisce la Federazione italiana lavoratori tessili e abbigliamento in cui confluiscono Federazione italiana lavoratori abbigliamento (Fila) e Federazione italiana operai tessili (Fiot).
Il sindacato di riferimento per i lavoratori delle aziende del tessile e dell'abbigliamento della provincia di Pesaro e Urbino è dal 2010 la Federazione italiana lavoratori chimica tessile energia manifatture (Filctem-Cgil), nata dalla fusione di sindacati relativi all'energia, gas e acquedotti (Fnle) con il sindacato dei chimici, vetrai, abrasivi, petroliferi (Filcea) e il tessile manifatturiero (Filtea).
L’Organizzazione anarchica marchigiana (d'ora in avanti Oam) si costituì formalmente a Jesi l'8 ottobre 1972(I). Ne facevano inizialmente parte i gruppi anarchici Bakunin (Jesi), Kronstadt e Berneri (Ancona), Machno (Civitanova Marche), Gruppi anarchici riuniti (Senigallia), 18 marzo (Macerata) e i gruppi di Chiaravalle, Fabriano e Recanati(II). La costituzione dell'Oam avvenne successivamente alla definizione di un primo Patto associativo tra i gruppi anarchici Kronstadt di Ancona e Bakunin di Jesi(III) e alla creazione dei Gruppi anarchici marchigiani, un'organizzazione sicuramente attiva nel 1972, che con ogni probabilità condivise anche un primo documento associativo(IV).
Nel corso della sua storia, l'Oam si compose di un massimo di cinque Sezioni: oltre a quelle formatesi in continuità con i gruppi di Jesi, Ancona (Kronstadt), Macerata e Civitanova Marche, nel 1975 entrò a far parte dell'Oam anche la Sezione Nord, costituitasi in seguito alla confluenza nell'Organizzazione del Coordinamento anarchico provinciale di Pesaro(V). Allo stesso tempo, sono documentati rapporti dell'Oam con gruppi e nuclei di Fermo, Urbino, Sant'Elpidio, Ascoli Piceno e San Benedetto, che sono definiti «simpatizzanti»(VI). Per quanto riguarda il numero degli aderenti, la documentazione conservata nell'Archivio dell'Organizzazione consente di affermare che tra il 1973 (all'epoca del I Convegno nazionale lavoratori anarchici, d’ora in avanti Cnla) e il 1975, il numero dei militanti salì da 15 a 43(VII).
Di particolare importanza per la storia dell'Oam fu in primis la rottura con la Federazione anarchica italiana (d'ora in avanti Fai), consumatasi tra il 1972 e il 1973 a causa della vicinanza dell’Organizzazione, e in particolare dei gruppi di Jesi, Macerata e Civitanova, alle posizioni dei gruppi comunisti anarchici(VIII). L'adesione alla Piattaforma di Archinov e la "separazione" dalla Fai(IX), rappresentarono infatti per l'Oam elementi di discontinuità da un punto di vista strutturale e politico, le cui conseguenze furono riassunte efficacemente nel 1974 da Cesare Tittarelli, militante del Gruppo Bakunin di Jesi e componente della Commissione di corrispondenza (d'ora in avanti Cdc): «ci ha costato l’espulsione dalla Fai, l'isolamento all'interno del movimento, e ci ha spinto come Oam a strutturarsi in sezioni»(X).
Il distacco dalla Fai, inoltre, spinse l'Oam a impegnarsi nel tentativo (non riuscito) di dare vita ad un'organizzazione nazionale alternativa che comprendesse tutti quei gruppi comunisti anarchici dissidenti che facevano parte del cosiddetto Nucleo operativo, il cui obiettivo iniziale, secondo quanto riportato dal militante Tullio Bugari, era compiere una sorta di «golpe anarchico» ovvero «coordinarsi per arrivare al congresso della Fai e conquistare dall'interno la Federazione facendosi affidare la gestione di tutti gli organismi: la Commissione di corrispondenza, il giornale "Umanità nova", i vari comitati»(XI). Sempre secondo la testimonianza di Bugari, le intenzioni del Nucleo furono scoperte e i gruppi dissidenti di fatto espulsi dalla Fai prima del congresso tenutosi a Carrara nel dicembre del 1973(XII). Ad ogni modo, durante l'incontro dei diversi gruppi componenti il Nucleo operativo, svoltosi a Perugia il 17-18 novembre di quello stesso anno e al quale parteciparono, per l'Oam, i gruppi Bakunin di Jesi, 18 marzo di Macerata e Machno di Civitanova Marche, il Nucleo aveva già approvato un nuovo Patto associativo che avrebbe dovuto essere applicato «all'interno della nuova organizzazione nazionale»(XIII).
La posizione del Nucleo operativo, anche in considerazione delle «circolari ultime della Cdc» della Fai, era del resto esplicita(XIV): «all'interno della Fai non c’è più possibilità di dialogo mentre anche fuori della Fai si nota un fermento generale di crescita politica ed organizzativa. La nostra prospettiva non è più di far crescere la Fai in particolare ma contribuire a ridare una svolta all'Anarchismo [...] ed in tale prospettiva noi veniamo a investire un ruolo di primo piano o di punto di riferimento, se non altro perché siamo stati tra i principali artefici di questo scossone o fermento che il movimento anarchico ha subito in questo 1973». Ciò che nel novembre di quello stesso anno il Nucleo operativo si proponeva di realizzare era la definizione di una strategia omogenea al suo interno e la costruzione di un rapporto «dialettico» con il movimento anarchico «nel senso che la strategia che noi elaboriamo non sarà da presentare agli altri gruppi [...] per farla semplicemente accettare, ma dovrà servire da punto di riferimento per i gruppi da noi definiti "simpatizzanti" mano a mano che si sviluppa per esserne a sua volta arricchita con il dibattito». Le modalità previste per lo sviluppo di tale rapporto dialettico erano i contatti individuali e le riunioni comuni, la collaborazione come singoli gruppi qualora non fosse possibile come Nucleo operativo e il lavoro comune a livello locale (nel documento si ricorda infatti come l'Oam stesse discutendo un nuovo Patto associativo «molto vicino» a quello del Nucleo).
In sostanza, il ruolo di punto di riferimento che il Nucleo operativo si riconosceva, e la strategia che intendeva definire, non doveva essere «l'embrione di un'organizzazione specifica da far accettare agli altri» bensì «la indicazione di un processo di crescita che ci porterà all'organizzazione specifica». Lo «strumento organizzativo» individuato era il coordinamento dei trenta gruppi del Cnla entro cui il Nucleo avrebbe dovuto presentare la propria strategia alternativa alla confusione esistente seppure tenendo presente che il Cnla non era «una struttura trasformabile in organizzazione specifica ma solo trasformabile di per se stessa in organizzazione di massa, mentre quegli stessi singoli gruppi, per ora aderenti a tale struttura, dovranno realizzare altrove e su basi organizzative diverse un'organizzazione specifica».
L’unica forma di espressione nazionale di questi gruppi, però, venne di fatto rappresentata esclusivamente dai Cnla, come ricorda lo stesso Bugari: «quello dei Cnla restò per un paio di anni il nostro principale riferimento nazionale. Anzi, l'unico, non appena venne fuori la nostra espulsione di fatto dalla Fai»(XV). L'importanza della partecipazione al I Cnla, del resto, è sottolineata anche dalla Sezione Kronstadt, che nel 1975 riconobbe come questa servì all'Oam anche per: «radicalizzare le concezioni classiste e le necessità dell’intervento operaio», completare la «maturazione classista in atto nel Kronstadt di Ancona», «sganciare ormai completamente i 4 gruppi classisti» (Jesi, Kronstadt di Ancona, Macerata e Civitanova) dagli altri che lasciarono l'Organizzazione «con una serie di polemiche» (il riferimento è probabilmente al Gruppo Berneri di Ancona), «collegare l'Oam al resto del movimento di classe», compreso quello sviluppatosi all'infuori del Nucleo operativo(XVI).
Tornando alla Piattaforma di Archinov, questa definiva un modello organizzativo che l'Oam, così come il Nucleo operativo, riportò nel proprio Patto associativo. La versione del Patto pubblicata dalla Sezione Kronstadt di Ancona il 26 maggio 1974(XVII) è con ogni probabilità la stessa richiamata dal Nucleo operativo nel novembre 1973: strutturato in premesse teoriche, principi organizzativi, strutture organizzative regionali e proposte per l’organizzazione nazionale, contiene i principi e le regole che ogni gruppo intenzionato ad aderire all'Organizzazione avrebbe dovuto necessariamente accettare.
Con riferimento a quanto disposto nella sezione relativa alle strutture organizzative regionali, il Patto specifica come l'Oam rappresentasse non un «semplice coordinamento» tra l'organizzazione nazionale e le sezioni territoriali locali(XVIII) ma la loro «espressione politica unitaria» e come nessuna sezione potesse assumere impegni politici che avrebbero coinvolto l’Organizzazione «senza prima consultarsi con tutte le altre sezioni». Sono quindi presenti riferimenti alla vigilanza che l'Oam avrebbe dovuto svolgere in merito alla rotazione degli incarichi dei «militanti» e al coinvolgimento dei «simpatizzanti», alle modalità di creazione di una sezione e di adesione di un militante nonché allo scopo e alle modalità di svolgimento dell'assemblea regionale.
Le decisioni dell’assemblea coinvolgono tutta l'Oam «in base al principio della responsabilità collettiva»: le sezioni, infatti, sono tenute a discutere in anticipo l'ordine del giorno dell'assemblea (proposto dalla Cdc sulla base delle indicazioni e delle proposte delle sezioni e deciso dall'assemblea stessa nella riunione precedente) e, in caso di assenza, sono tenute ad inviare alla Cdc la propria relazione sugli argomenti oggetto di discussione. Ricevuta la relazione scritta dell’assemblea regionale, debbono trasmettere le proprie posizioni con riferimento a quanto deciso.
La Cdc è affidata a una sezione per un periodo compreso tra i sei mesi e un anno e i suoi compiti sono i seguenti: «scrivere relazioni delle assemblee regionali, diffondere i comunicati delle singole sezioni, mantenere i contatti di corrispondenza con il resto del movimento anarchico, vigilare sulle sezioni che non provvedono a mantenere i contatti fissi con l’Oam, rappresentare tecnicamente l’Oam tutte le volte che sia necessario»(XIX). Alla Cdc, inoltre, spetta anche il compito di gestire la «cassa dell'Oam»(XX).
Le assemblee regionali sono affiancate dai «convegni di lavoro» il cui scopo è elaborare «le teorie, strategie e tattiche dell'Oam sui vari settori d’intervento»; convegni straordinari sono invece convocati su proposta della Cdc o delle sezioni tramite di essa nel caso sia «urgente risolvere determinati problemi politici e organizzativi». Oltre ai convegni di lavoro, l'Oam «si dà strutture di lavoro permanenti o temporanee» (le commissioni) il cui compito consiste nel rappresentare il tramite tra commissioni nazionali e locali, nella redazione di bollettini interni (che comprendono le relazioni locali del lavoro e delle lotte della sezione) e nella redazione di proposte di analisi e intervento delle diverse sezioni in documenti che devono essere "accettati" da tutta l'Oam (nelle assemblee regionali, nei convegni di lavoro e anche tramite corrispondenza) e che «rappresentano poi lo strumento di propaganda esterna dell’organizzazione». Interessante è la precisazione che «le commissioni sono affidate alle sezioni più capaci di lavorare in tali settori, non considerando quindi valido un criterio di rotazione semplicemente automatico».
Il Patto specifica inoltre che l'approvazione di «documenti di corrispondenza» richiede necessariamente l'unanimità e che questo criterio dovrebbe essere osservato anche per l'approvazione di documenti e per tutte le decisioni votate nei convegni o nelle assemblee regionali (anche se è previsto, «in casi eccezionali», che qualora una sezione si trovi in minoranza questa è tenuta «ad applicare verso l'esterno le tesi della maggioranza, riservandosi il diritto di critica verso l'interno»).
Oltre a una serie di disposizioni finalizzate a regolamentare la partecipazione dei delegati delle sezioni ai convegni e ai congressi nazionali, il Patto definisce le modalità di espulsione di una sezione («decisa nell'assemblea regionale o convegno, su proposta della Cdc o di una singola sezione»), l’eventuale simbolo dell’Organizzazione (la A cerchiata) e i colori della bandiera (rosso e nero separati trasversalmente).
Con riferimento alla sezione relativa alle strutture organizzative nazionali, e in particolare alle disposizioni che maggiormente interessano l'attività dell’Oam, si segnala come il Patto associativo specifichi che l'unità organizzativa nazionale sia la «sezione territoriale», che può assumere la forma di raggruppamento zonale, provinciale (è il caso della Sezione Nord, che comprendeva militanti e simpatizzanti di Fano, Pesaro, Montefelcino, Saltara, Mondolfo e Orciano e di Monteporzio, Montemaggiore e San Lorenzo in Campo)(XXI) o interprovinciale, che «deve porre al proprio interno una netta distinzione tra simpatizzanti e militanti». Il militante è definito come chi «per sua formazione politica, ha maturato il proprio inserimento nella lotta di classe in generale e nell'organizzazione in particolare» e che «viene accettato come tale da tutti gli altri militanti della sua sezione territoriale in base a una sua conoscenza teorica sufficiente e ad una disponibilità politica verificata». A lui spettano compiti di collegamento tra i raggruppamenti anarchici, rappresentatività della propria sezione territoriale e dell'organizzazione nazionale nella rispettiva località, oltre che di responsabilità delle proprie azioni di fronte all'assemblea dei militanti della propria sezione. Riguardo ai simpatizzanti, la sezione territoriale «si impegna» a dare loro «gli strumenti per poter crescere politicamente ed arrivare ad essere militanti».
Il Patto specifica quindi che ogni sezione territoriale «regola la propria costituzione interna» e il proprio programma d'intervento autonomamente seppure «in piena armonia» con quella dell’Organizzazione. La linea politica dell'Organizzazione, del resto, «è di esclusiva competenza, nei suoi tratti generali, del Congresso nazionale dell'Organizzazione», che si tiene annualmente ed è convocato dal Consiglio nazionale.
Di assoluto interesse, inoltre, è l’allegato 1 al Patto associativo dell'Oam, datato 24 agosto 1974, che si riferisce in particolare all'organizzazione interna delle sezioni in commissioni e responsabili dei servizi. Le prime sono composte da militanti (che rispondono del loro operato all'assemblea dei militanti) e simpatizzanti e hanno la funzione di garantire all'Organizzazione «il dibattito politico sulla strategia e sulla tattica, nonché l'intervento sul settore specifico» e alla sezione «di avere delle strutture d’intervento pratiche in cui inserire e selezionare i simpatizzanti a livello di impegno politico reale; di redigere bozze di documenti tattici e strategici specifici del settore in cui opera, da sottoporre all'assemblea dei militanti». I responsabili dei servizi, invece, ricoprono funzioni tecnico-esecutive nel servizio specifico (ad esempio segreteria, cassa, simpatizzanti, biblioteca): eletti a rotazione dall'assemblea dei militanti (che può revocare l’incarico assegnato in qualsiasi momento) restano in carica per un periodo variabile da tre a sei mesi.
Di particolare rilievo sono infine i compiti attribuiti al segretario di sezione (responsabile della segreteria), eletto dall'assemblea dei militanti e «approvato» da quella dell'Oam («e revocabile in qualsiasi momento allo stesso modo») che è incaricato di «coordinare e controllare il lavoro dei militanti e delle commissioni, conformemente ai deliberati dell'assemblea dei militanti e di quella dell'organizzazione; di tenere la corrispondenza ed i contatti con le altre sezioni e con la Cdc; di mantenere vivo il circolo delle informazioni tra militanti; di corrispondere della continuità del lavoro della sezione di fronte all'organizzazione». Questi, «nei limiti del possibile», deve essere sempre presente alle riunioni e ai convegni regionali insieme al delegato («che è il portavoce politico della sezione»).
Per quanto concerne le vicende istituzionali dell'Oam, la documentazione conservata nell'Archivio dell'Organizzazione consente di ricostruirne i passaggi più significativi anche in relazione alle disposizioni contenute nel Patto associativo.
In primo luogo è necessario sottolineare il ruolo centrale ricoperto dalla Cdc affidata alla Sezione Bakunin di Jesi e in particolare a Cesare Tittarelli e Tullio Bugari dalla costituzione dell'Oam fino a tutto il 1975 (quindi per un periodo ben più lungo di quello previsto dal Patto associativo). Questa, infatti, oltre alle attività previste dal Patto, svolse anche «compiti politici di controllo e di richiamo alla serietà organizzativa»(XXII), come ampiamente dimostrato dalle circolari e dai verbali di riunioni dei primi quattro anni di attività dell'Oam. All'indomani delle dimissioni della Cdc di Jesi, del resto, è significativo che l'Oam si ponesse l’obiettivo di «ridimensionare» i compiti della Cdc «con il graduale funzionamento efficiente di una segreteria regionale composta dai segretari di sezione, con funzioni tecniche e tuttora da precisare, che permetta sia un decentramento degli incarichi e delle responsabilità, sia un alleggerimento del lavoro da affidare alla Cdc e per rendere più funzionali le commissioni regionali»(XXIII). Queste, nel 1975, erano affidate alla Sezione Kronstadt di Ancona (Commissione sindacale), Nord (Commissione politica) e 18 marzo di Macerata (Commissione scuola)(XXIV). Riguardo alla loro attività, è opportuno richiamare invece la relazione del Gruppo Kronstadt di Ancona del 18 novembre 1975(XXV), in cui si afferma che «hanno cominciato a funzionare realmente da quest'estate almeno quella sindacale e quella politica». Nel documento, infatti, si contesta lo scarso funzionamento della Commissione scuola, riconducibile anche alle difficoltà attraversate dalla Sezione di Macerata a causa della fuoriuscita di alcuni militanti particolarmente preparati.
La predetta relazione, inoltre, è utile per ricostruire ulteriori aspetti della storia dell'Oam: da un punto di vista organizzativo, nel novembre 1975, è interessante notare come il Kronstadt rimarchi che «gran parte del lavoro tecnico e teorico dell’organizzazione ricade sulla sezione», che ha anche il compito di mantenere i collegamenti nazionali nell'ambito dell'attività della Commissione sindacale interregionale, mentre da un punto di vista politico, invece, è opportuno sottolineare come il Kronstadt, che nella sua relazione approfondisce i diversi momenti di crisi attraversati dall'Oam nella sua storia, e le relative cause, attribuisca la più recente spaccatura interna avvenuta in occasione delle elezioni amministrative del 1975 a uno «sviluppo caotico e localistico» dell'Organizzazione e, soprattutto, a un non radicato inserimento nella classe proletaria.
Nel corso del 1976 la situazione non migliorò, tanto che si aprì una fase di «verifica» dell'attività dell’Organizzazione; mentre da una parte, quindi, si impose il dibattito sull'opportunità di modificare il nome dell'Oam in Organizzazione comunista libertaria (d’ora in avanti Ocl), al fine di favorire in un certo qual modo il processo che avrebbe dovuto condurre alla nascita di quell'organismo nazionale "inseguito" fin dai tempi dell'attività del Nucleo operativo, dall'altra si materializzò la rottura delle Sezioni Kronstadt e Nord con il resto dell'Oam. Per quanto riguarda la discussione sulla denominazione dell'Organizzazione, è significativo quanto espresso dalla Sezione Kronstadt in una sua relazione del 31 gennaio 1976(XXVI): la Sezione, infatti, si rifiutò di avvallare tale scelta per questioni di opportunismo ovvero per esigenze tattiche affermando con forza come il cambiamento della denominazione dovesse essere necessariamente preceduto da un chiarimento definitivo della posizione teorica dell'Oam riguardo al marxismo, nonché su questioni collegate quali ad esempio la partecipazione di un’organizzazione rivoluzionaria a un governo. La mancanza di tale chiarimento causò quindi, nel maggio 1976, le dimissioni di diversi militanti delle Sezioni Kronstadt e Nord; dimissioni che probabilmente rientrarono in attesa dell'esito del congresso di rifondazione dell'Oam previsto per quello stesso anno(XXVII). Nel dicembre del 1976, però, la Sezione Kronstadt, rivolgendosi ai compagni delle diverse Sezioni dell'Oam, inoltrò formalmente la propria «richiesta di autonomia»(XXVIII). Le cause che portarono alla formulazione di tale richiesta sono da ricercarsi, con ogni probabilità, sia nella mancata ridefinizione («anche critica») della base teorica dell'Oam (Ancona del resto sottolinea come non accetti e non attui interamente il Patto associativo), sia nel mancato supporto da parte delle altre sezioni nel confronto avviato da Ancona con diverse organizzazioni comuniste libertarie (in particolare quella di Milano) al fine di «poter costituire un polo di riferimento politico tramite il giornale e i bollettini di agitazione per tutto il movimento comunista libertario e per tutte una serie di avanguardie larghe»(XXIX).
Dal contenuto della richiesta di autonomia della Sezione Kronstadt si evince quindi come la Sezione anconetana non intendesse uscire dall'Oam bensì trasformarla in una «struttura federativa di intervento (a livello di sintesi)» e come, a causa della mancata partecipazione delle diverse sezioni al confronto con l'Ocl di Milano, queste non potessero impedire alla Sezione Kronstadt di proseguire i contatti con Milano stessa(XXX). Ad ogni modo, tali contatti proseguirono e portarono alla nascita del periodico "Fronte libertario della lotta di classe", di cui la Sezione di Ancona curò la redazione dopo un’iniziale gestione da parte dell'Ocl milanese(XXXI). Il periodico, come ricordato dalla Commissione di relazioni del Collettivo comunista libertario di Livorno, rappresentava l'unico strumento che avrebbe consentito di avviare un confronto tra le varie organizzazioni, anche se «nell'attuale situazione di disgregazione del movimento comunista libertario» non poteva essere confuso «con un embrione nella costruzione dell'organizzazione nazionale»(XXXII).
La richiesta di autonomia della Sezione Kronstadt rappresenta in un certo qual modo l'inizio di un processo di disgregazione dell'Oam che portò al suo scioglimento: per ricostruire le modalità con cui l'Oam cessò la propria attività, considerata anche la sostanziale scarsità della documentazione degli anni 1977-1979 conservata nel suo Archivio, sono quindi di fondamentale importanza le interviste rivolte da Luigi Balsamini ad alcuni ex militanti dell'Oam stessa(XXXIII).
Innanzitutto è bene precisare che l’unico a riferire di uno scioglimento formale dell'Organizzazione è Tullio Bugari, che ricorda come ciò avvenne all'inizio del 1979 «in una riunione ristretta ma rappresentativa» che si tenne a casa sua; tale riunione, però, sembra sancire una situazione di fatto già consolidata(XXXIV). Già nel 1977, infatti, alcuni militanti descrivono un contesto in cui l'attività dell'Oam sembra essersi di fatto già avviata verso la conclusione: Michel Mattioli sostiene che «l'inizio della fine» può essere individuato nel periodo successivo al Convegno contro la repressione svoltosi a Bologna dal 22 al 24 settembre 1977 («dopo quella fase non si parlava più di Oam e non ricordo iniziative fatte a nome Oam»), mentre Michele Gianni afferma che nel 1977 «abbiamo smesso di incontrarci come Oam» e che «è venuta meno l'organizzazione regionale».
In estrema sintesi, come riportato da Mattioli, «è successo che, gradualmente, i gruppi delle diverse città hanno cominciato a ridividersi, facendo venire meno il senso di un'organizzazione regionale. Fano lavorava su certe cose, Ancona iniziava a muoversi su altre, mentre i gruppi del Sud delle Marche sono praticamente scomparsi». Una disgregazione graduale dovuta, oltre alle divisioni su cui ci si è precedentemente soffermati, a fattori quali il clima "pesante" generato dall'azione delle Brigate rosse e dalla repressione messa in atto dalle forze di polizia, le istanze fatte emergere dal femminismo, l’adesione di alcuni alla Fai, il tentativo di ricostituzione dell’Unione sindacale italiana (d’ora in avanti Usi) e più in generale, come ricordato da Michele Gianni, dall'«esaurirsi di quella spinta che aveva caratterizzato il movimento degli anni Settanta».
Con riferimento alla testimonianza di Tullio Bugari, l'«ultimo atto significativo dell'Oam» fu la partecipazione, nel 1978, al congresso che avrebbe dovuto sancire la ricostituzione dell’Usi, che però non venne approvata. Secondo Bugari, l'attività dell'Oam proseguì per altri cinque o sei mesi «ma molto allentata».
Nonostante l’attività dell'Oam fosse sostanzialmente cessata, è infine opportuno tenere presente come in alcune circostanze il nome dell’Organizzazione continuò a essere utilizzato, come testimoniato da Michel Mattioli («in realtà qualche volta usammo ancora il nome Oam, ma ci serviva per chiedere degli spazi, per attività strumentali, nonostante non esistesse più una struttura organizzata»).
NOTE
(I) Cfr. Archivio dell’Organizzazione anarchica marchigiana (d'ora in avanti AOam), serie Carteggio amministrativo, fasc. "1972", b. 1, fasc. 1, il verb. di riunione dell'8 ott. 1972, di cui si riporta un estratto: «Riguardo la pregiudiziale di alcuni compagni circa l'autonomia dei gruppi marchigiani rispetto a specifiche organizzazioni nazionali si è discusso sull'attributo da darci. Nella discussione il compagno del Berneri ha chiarito la posizione sul rapporto tra i gruppi, rapporto che deve e può essere unicamente federativo [...] Un compagno del Kronstadt ha ribadito che pur d'accordo è preferibile non darci una etichetta specifica. Alla fine riconfermando l’autonomia dell'insieme dei gruppi ci si è accordati sul darci l'attributo di Organizzazione anarchica marchigiana».
(II) Cfr. ibid., sono i gruppi anarchici invitati alla riunione dell'8 ott. 1972 di cui alla nota I.
(III) Cfr. ibid., il "Patto associativo tra il Gruppo anarchico Kronstadt di Ancona e il Gruppo anarchico Bakunin di Iesi" (s.d.), in cui è specificato che inizialmente l'unione «ha carattere giovanile ed è ristretta ai gruppi di Jesi ed Ancona, comunque è aperta a eventuali aperture».
(IV) Cfr. ibid., "Documento associativo dei gruppi anarchici marchigiani" (s.d.); i gruppi anarchici citati nel documento (firmato da «Gruppi anarchici marchigiani - Cdc presso Gruppo Bakunin»), sono i seguenti: Bakunin (Jesi), 18 marzo (Macerata), Berneri e Kronstadt (Ancona), Gruppi anarchici riuniti di Senigallia, Machno (Civitanova Marche) e i gruppi anarchici di Recanati e Fabriano. Facevano inoltre parte dell'«unione» i compagni isolati di Marotta, Chiaravalle e di altre località non specificate. Per una ricostruzione dell’attività dei gruppi precedentemente alla costituzione formale dell'Oam si rimanda alla documentazione conservata nel fasc.
(V) Cfr. ad esempio ivi, fasc. "Organizzazione anarchica marchigiana (Lettere, circolari, eccetera)", b. 1, fasc. 3, il verb. di riunione del Coordinamento anarchico provinciale di Pesaro del 5 apr. 1975 e ivi, fasc. "Delle Sezioni dell’Organizzazione anarchica marchigiana tra loro. 1975", b. 3, fasc. 22, il rendiconto finanziario intestato a «Oam Sezione Nord» del 18 apr. 1975.
(VI) Vedi ivi, fasc. "Relazioni e Bollettini Commissione Sindacale Interregionale", b. 19, fasc. 21, "Bollettino" della Csi, n. 5, [1975].
(VII) Ibid.
(VIII) Cfr. ad esempio ivi, serie Carteggio amministrativo, fasc. [1974-1975. Documenti dell'Organizzazione anarchica marchigiana], b. 2, fasc. 17, la relazione della Sezione Kronstadt di Ancona ("Oam - situazione, sezioni, commissioni, proposte"), Ancona 18 nov. 1975: i gruppi di Jesi, Macerata e Civitanova sono definiti come «neoclassisti» del Nucleo operativo della Fai; del gruppo Kronstadt di Ancona si ricorda invece come gradualmente si stesse avvicinando «alle posizioni di classe».
(IX) Cfr. Gino Cerrito, La Plate-Forme d'Archinov, disponibile all’indirizzo http://www.nestormakhno.info/italian/cerrito.htm (pagina consultata in data 04/09/2016): «La "Piattaforma" redatta probabilmente da Pietro Archinov (e appunto perciò per lungo tempo presentata come sua opera personale) venne discussa per vari anni da un numeroso "gruppo di anarchici russi in esilio" cui per qualche tempo si aggiunsero persino alcuni giovani polacchi. La sua pubblicazione in lingua russa (e in lingua francese) apparve nel novembre del 1926 sotto il titolo "Plate-Forme d’organisation de l’Union Generale des Anarchistes - Projet", Ed. des Oeuvres internationales des éditions anarchistes-Libraire internationale, Parigi 1962».
(X) Cfr. AOam, serie Carteggio amministrativo, fasc. "Delle Sezioni dell’Organizzazione anarchica marchigiana tra loro. 1974. 1° semestre", b. 2, fasc. 15, circolare interna della Cdc, [1974].
(XI) Cfr. l'intervista di Luigi Balsamini a Tullio Bugari del 3 dic. 2015. Tutte le interviste realizzate da Balsamini e citate nell'ambito della descrizione del record di autorità "Organizzazione anarchica marchigiana" sono contenute in: L. Balsamini, Fonti scritte e orali per la storia dell'Organizzazione anarchica marchigiana (1972-1979). Inventario del fondo archivistico a cura di Matteo Sisti, Bologna, BraDypUS, 2016 (Strumenti, 1), pp. 135-309.
(XII) Cfr. l'intervista a Bugari di cui alla nota XI: Bugari ricorda inoltre che i gruppi aderenti al Nucleo operativo reagirono all'espulsione organizzando a Milano un congresso alternativo, con l'obiettivo di dare vita ad un nuovo soggetto (l'Unione anarchica italiana?), cui però non seguì alcun atto concreto.
(XIII) Cfr. AOam, serie Carteggio amministrativo, fasc. Patto associativo dell'Organizzazione anarchica marchigiana, b. 1, fasc. 8, "pagine libertarie", n. 3, nov. 1973.
(XIV) Ibid., pp. 19-20 ("Posizione del N.O. rispetto al movimento anarchico"), da cui sono tratte le informazioni riportate in riferimento al programma del Nucleo operativo.
(XV) Cfr. l'intervista a Bugari di cui alla nota XI.
(XVI) Vedi nota VIII.
(XVII) Cfr. ivi, fasc. Patto associativo dell'Organizzazione anarchica marchigiana, b. 1, fasc. 8, il "Patto associativo. Premesse teoriche. Principi organizzativi. Strutture organizzative regionali. Proposte per l'organizzazione nazionale", Ancona, 26 mag. 1974 (documento a diffusione interna con un allegato del 24 ago. 1974 titolato "Struttura della sezione in commissioni e responsabili dei servizi").
(XVIII) Il Patto specifica che l'Oam è formata da sezioni e non da gruppi e che queste si compongono di militanti; i «militanti isolati», invece, non fanno capo direttamente all'Organizzazione ma aderiscono alla sezione della città più vicina.
(XIX) Cfr. AOam, serie Carteggio amministrativo, fasc. "[Documenti 1973-1976] da archiviare", b. 2 fasc. 11, la circolare interna della Cdc contenente norme per l’invio della corrispondenza all'Oam in cui si richiede, se possibile: la spedizione di una copia dei documenti a ciascuna sezione oppure la spedizione alla Cdc di tante copie per quante sono le sezioni oppure la spedizione di una sola copia alla Cdc specificando se ulteriori copie sono state trasmesse alle diverse sezioni.
(XX) Cfr. ad esempio ivi, fasc. "1972", b. 1, fasc. 1, la circolare interna del 26 nov. 1972 in cui si stabilisce che la cassa comune dell'Oam è affidata alla Cdc, che mensilmente è tenuta a presentare il resoconto finanziario.
(XXI) Vedi nota VI.
(XXII) Ivi, fasc. "[Documenti 1973-1976] da archiviare", b. 2, fasc. 12, la circolare interna contenente il verbale di riunione dell'Oam del 27 dic. 1975: la Cdc «è affidata al compagno A. della Sezione di Ancona».
(XXIII) Ibid.
(XXIV) Cfr. ivi, fasc. "Delle Sezioni dell’Organizzazione anarchica marchigiana tra loro. 1974. 2° semestre", b. 2, fasc. 16, comunicazione della Cdc, Jesi 28 nov. 1975.
(XXV) Vedi nota VIII.
(XXVI) Cfr. AOam, serie Carteggio amministrativo, fasc. "Organizzazione anarchica marchigiana (Lettere, circolari, eccetera)", b. 1, fasc. 3, l'allegato alla relazione di "Verifica Oam" in ampliamento al punto Oam-Ocl, Ancona 31 gen. 1976.
(XXVII) Cfr. ivi, fasc. "Organizzazione anarchica marchigiana. Circolari, lettere, eccetera", b. 3, fasc. 19, la lettera dei compagni di Ancona a tutti i compagni delle Sezioni dell'Oam "Sul perché della nostra richiesta di autonomia: ovvero l'Oam intesa come organizzazione di sintesi", Ancona 29 dic. 1976.
(XXVIII) Ibid.
(XXIX) Ibid.
(XXX) Ibid.
(XXXI) Cfr. l'intervista di Luigi Balsamini a Nicola Sabatino del 24 lug. 2015. Vedi anche AOam, serie Documenti a stampa, sottoserie Fascicoli organizzati per tipologia documentaria e autore, fasc. [Fronte libertario della lotta di classe], b. 20, fasc. 24.
(XXXII) Vedi ivi, serie Carteggio amministrativo, fasc. "Organizzazione anarchica marchigiana. Circolari, lettere, eccetera", b. 3, fasc. 19, la lettera della Commissione per l'Oam e organizzazioni diverse, Livorno 22 set. 1977.
(XXXIII) Oltre alla già citata intervista a Tullio Bugari (vedi nota XI), i militanti dell'Oam intervistati da Luigi Balsamini cui ci si riferisce sono i seguenti: Michele Gianni (intervista del 15 set. 2015), Michel Mattioli (intervista del 19 dic. 2015), Patrizio Nocchi (intervista del 4 feb. 2016).
(XXXIV) È significativa a questo proposito anche la testimonianza di Michel Mattioli: «Come dissi scherzando tempo fa in un'occasione in cui ci siamo rivisti, ancora aspetto una comunicazione "ufficiale" della chiusura dell’Oam».
Istituito nel 1925 con regio decreto 1767, dal 1998 è trasformato da ente pubblico a fondazione.